LA VITA IN CAMPAGNA E' DA PREFERIRE A QUELLA IN CITTA'

(SECONDO IL POETA LATINO QUINTO ORAZIO FLACCO).

 

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Il poeta

Quinto Orazio Flacco (Venosa 65 a. C.    -Roma 8 a.C.) .

Luca  Signorelli (Cortona 1445-       -1523) ,

Duomo di Orvieto .

 

INTRODUZIONE 

                Oggi son pochi quelli che hanno il coraggio di dire e preferire coi fatti e non solo con le parole , la vita in campagna anziché quella cittadina : al massimo si va in campagna per agriturismo, per passeggiate occasionali , per ammirare la natura, per urbanizzarla coi fuoristrada, gli alberghi , l' impiantistica da turismo ; ma nel profondo dell'animo e della mente , ormai la vita campagnola è irrimediabilmente screditata , perché l' uomo moderno , nonostante l'aiuto delle macchine e della industrializzazione quale neopotente metodo produttivo, ha il terrore della fatica fisica e insieme la determinazione a guadagnare a qualsiasi costo, anche a spese dell'ambiente naturale ; in fondo e infine, con queste premesse , si può preferire perfino lo smog londinese ...al doversi rompere la schiena per un giorno intero in mezzo a un campo .

                Ma tutta questa attrazione e insieme paura della campagna e della vita che richiede , è un aspetto o dissidio antico , come ci ricorda Orazio quando dice sotto al verso 10 : Rure ego viventem, tu dicis in urbe beatum : Felice io chiamo chi vive in campagna, tu chi vive in città Anche nell' antica Roma (e si osservi!) quando tutto dipendeva dall' agricoltura campagnola e dagli schiavi quale forza lavoro al posto dei trattori e dei braccianti o operai odierni , il problema di dover scegliere tra città e campagna già si poneva non solo con forza ma anche con i dovuti risvolti morali e civili : infatti il Fattore del poeta non desidera la città perché vi vorrebbe perseguire un progetto di vita nobile o secondo il bene comune (per es. elevazione mediante carriera , partecipare alla vita pubblica , diventare ricco, provare il commercio ...), ma semplicemente perché, laggiù in città , ci sono le   bettole , le  prostitute, il pepe e  l'incenso al posto dell' uva (vv.21-25..)... ecc. .

                Ora che cosa ci insegna , il rilevare che la scelta tra campagna e città è una necessità antica, persino romana ? 

                     Ci insegna varie cose . Ma la fondamentale mi sembra questa : che se non si hanno idee buone  o appropriate , se non si sa riflettere e scegliere al meglio (secondo la qualità), essere in città o in campagna, conta poco , perché ovunque ci si trovi (sia in campagna che in città) senza tali idee e scelte qualitativamente buone, si resta mediocri o viziosi , analogamente al fattore oraziano ; tuttavia vivere in campagna o in città , può anche fare la differenza , perché il lavoro campagnolo e agricolo preserva di più dai vizi e dai pericoli di salute , rispetto a quanto possa preservare, in quanto lavoro, anche quello cittadino e industriale ; pertanto è più facile cadere nella dissolutezza se si vive in  città, mentre è più difficile se si vive in campagna, perché si è protetti oltre che dalla minore quantità di offerte libertine , anche dalla onnipresente lezione filosofica della stessa natura , la quale prediligendo l'ordine per prima , e perciò in modo esemplare e publico, e ponendo l'ordine medesimo quale condizione importante del migliore processo di produzione agricola,  invita  e al contempo ammonisce, anche l' uomo a fare altrettanto .

 

TESTO

 

TESTO LATINO*

TRADUZIONE ITALIANA

LIBRO I° , EPISTOLA XIV

AL FATTORE DELLA SUA VILLA

1.Vilice silvarum et mihi me reddentis agel1i, 

2.quem tu fastidis habitatum quinque focis et 

3.quinque bonos solitum Variam dimittere patres, 

4.certemus, spinas animone ego fortius an tu 

5.evellas agro, et melior sit Horatius an res. 

6. me quamvis Lamiae pietas et cura moratur 

7.fratrem maerentis, rapto de fratre dolentis 

8.insolabiliter, tamen istuc mens animusque 

9.fert et amat spatiis obstantia rumpere claustra. 

10.rure ego viventem, tu dicis in urbe beatum. 

11.cui placet alterius, sua nimirum est odio sors. 

12.stultus uterque locum immeritum causatur inique: 

13.in culpa est animus, qui se non effugit umquam. 

14.tu mediastinus tacita prece rura petebas, 

15.nunc urbem et ludos et balnea vilicus optas : 

16.me constare mihi scis et discedere tristem, 

17.quandocumque trahunt invisa negotia Romam. 

18.non eadem miramur; eo disconvenit inter 

19.meque et te: nam quae deserta et inhospita tesqua 

20.credis, amoena vocat mecum qui sentit, et odit 

21.quae tu pulchra putas. fornix tibi et uncta popina 

22.incutiunt urbis desiderium, video, et quod 

23.angulus iste feret piper et tus ocius uva, 

24.nec vicina subest vinum praebere taberna 

25.quae possit tibi, nec meretrix tibicina, cuius 

26.ad strepitum salias terrae gravis: et tamen urges 

27.iampridem non tacta ligonibus arva bovemque 

28.disiunctum curas et strictis frondibus exples; 

29.addit opus pigro rivus, si decidit imber, 

30.multa mole docendus aprico parcere prato. 

31.nunc age, quid nostrum concentum dividat audi. 

32.quem tenues decuere togae nitidique capilli,

33. quem scis immunem Cinarae placuisse rapaci,

34.quem bibulum liquidi media de luce Falerni,

35.cena brevis iuvat et prope rivum sommus in herba.

36.nec lusisse pudet, sed non incidere ludum.

37.non istic obliquo oculo mea commoda quisquam

38.limat, non odio obscuro morsuque venenat;

39.rident vicini glaebas et saxa moventem.

40.cum servis urbana diaria rodere mavis;

41.horum tu in numerum voto  ruis: invidet usum

42.lignorum et pecoris tibi calo argutus et horti.

43.opta ephippia bos piger, optat arare caballus: 

44.quam scit uterque libens censebo exerceat artem .

1-5 : O custode dei boschi e della piccola campagna che ridona me a me stesso e tu disprezzi, pure popolata da cinque case e benché mandi a Varia cinque capi famiglia; scommettiamo se son più bravo a togliere le spine io dal tuo cuore o tu dal campo e se non sia curato Orazio più del fondo. 

 

6-11 : Sebbene mi trattenga l'amicizia di Lamia inconsolabile e dolente del perduto fratello, tuttavia costì sempre ricorre la mia mente ed anela di rompere gli ostacoli, le sbarre che impediscono gli spazi.

 

10-11 :Felice io chiamo chi vive in campagna, tu chi vive in città. Ma   a chi la sorte piace di un altro certamente ha in odio la propria.

 

12-15 : Stolti l'uno e l'altro accusano ingiustamente il luogo senza colpa: dell'animo è la colpa che non sa mai fuggire se stesso. Tu quand'eri un povero garzone sospiravi tacitamente la campagna, ed ora che sei un fattore vai desiderando la città, gli spettacoli, le terme. 

 

16-17 :Io sono, e tu lo sai, sempre costante con me stesso; sai come mi dispiaccia andarmene da lì quando noiosi affari mi trascinano qui a Roma. 

 

18-21 :Non corrono tra noi gli stessi gusti; in questo tra noi due c'è disaccordo: i luoghi che tu credi solitudini deserte e inospitali io li considero ameni e quelli che tu pensi belli io li detesto. 

 

21-30 :Vedo bene, certo, è il casino, la bettola fumosa che ti mettono addosso il desiderio di Roma e il fatto che in codesto angolo nasca pepe ed incenso anzi che l'uva, e non c'è una taverna lì vicino che possa offrirti vino e una flautista puttana che ti faccia strepitando ballare coi pesanti piedi; e intanto devi con gran fatica lavorare il campo non ancora dissodato dalle zappe, curarti poi del bue sciolto dal giogo e dargli da mangiare foglie secche; e se piove ti s'aggiunge il ruscello che devi indirizzare, pur senza voglia e con molto lavoro, che non allaghi il prato soleggiato. 

 

31-35 :Ed ora ascolta cosa il nostro accordo divide; a me che un tempo amavo toghe eleganti e capelli profumati, a me che sai quanto piacevo a Cìnara tanto avara, pur senza farle doni, a me che a mezzogiorno cominciavo a sorseggiare limpido Falerno, adesso piace un pasto breve e il sonno su l'erba presso un rivo

 

36: Non perché dei piaceri goduti io mi vergogni, ma mi vergognerei di non saperli troncare in tempo. 

 

37-39: Lì non c'è nessuno, in campagna, che morda come lima i miei agi; nessuno m'avvelena con l'occhio torto e oscuro dell'invidia; anzi, i vicini ridono se guardano come rovescio zolle e smuovo pietre. 

 

40-42: Tu preferisci rosicchiare il cibo giornaliero dei servi cittadini, corri col desiderio fra costoro; e il mio mozzo di stalla furbo invidia 1'uso che tu puoi fare della legna, del bestiame e dell'orto. 

 

43-44: Il pigro bue desidera la sella, vuole arare il cavallo; a me sembra che ciascuno dei due dovrebbe volentieri e bene esercitare l'arte che conosce. 

 

 

 

* Testo latino da : Orazio, Tutte le opere , Firenze , Sansoni , 1989 (3°) pp. 456-61 . 

 

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