LA CAMPAGNA COME MAESTRA E LA CAMPAGNA TOSCANA , SENZA LUSSI.

(G. Papini, 1909; 1912).

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Arezzo immerso nella Campagna : Vista da Pratantico (AR).

Sono qui descritti fotograficamente alcuni aspetti della Campagna toscana dei dintorni     d' Arezzo , tra Valdichiana e Valdarno .

Civitella della Chiana (AR), paese d'origine  medioevale, adagiato nella piena Campagna . Laterina (AR) , scorcio del contado dalla piazza del paese .  Badia al Pino (AR) , Fattoria e Castello di Dorna dal 1814 proprietà delle suore Montalve della Quiete di Firenze, poi da pochi decenni, ceduta all' Università fiorentina.. 

Valdichiana , tratto visto da Civitella (AR). Si distingue al centro, trapunto da ciliegi selvatici, il grande vigneto detto Vignone della Fattoria Ninci o Fraternita dei Laici, condotta dal Comune aretino.
Sotto, Viti maritate al Testucchio o Oppio, secondo l' antico modo della coltura promiscua, sostiutita nella seconda metà del sec. XX° , dalla coltura intensiva (Pratantico, AR). Fattoria di Monsolio (Laterina , AR) , Viale dei cipressi . Fattoria e Villa di Monsolio (Laterina , AR). Costruita sullo Spedale medioevale degli Ubertini, attorno al sec. XVII . Cortile e facciata principale della Villa . Come è noto, le ville , sono parte del paesaggio rurale toscano.

INTRODUZIONE

                         Il Papini dei brani sottostanti , che come sopradetto scrive tra il 1909 e il 1912 (1) , oltre che giovane di 28-31 anni , è precedente alla conversione al cattolicesimo , avvenuta ufficialmente a 40 anni nel 1921, con la famosa "Storia di Cristo" . 

                Pertanto il suo modo di vedere e sentire la campagna è piuttosto istintivo ed egocentrico .

                E' istintivo , perché la campagna è per lui , essenzialmente , un presupposto di solitudine ; anche se in questa solitudine vi sente qualcosa di buono e promettente , anzi alternativo al chiasso della città.

                E' egocentrico perché sebbene ci dica che la campagna è maestra per tutti , specialmente lo è per i pensatori e creatori , cioè per la categoria a cui appartiene il Papini medesimo , quale scrittore . 

                Ciò premesso , diventa tuttavia di grande interesse per chiunque , il fatto della sincerità audace , con cui si cerca la solitudine in campagna e si riconosce che la stessa campagna può esser maestra

                Guardando alla storia , in questi bisogni e in questo atteggiamento papiniano , per cui egli cerca la solitudine e riconosce il valore formativo della campagna , è facile trovare una ennesima conferma  non tanto della predilezione borghese e secolare per la campagna mediante la villa romana o medievale o rinascimentale o successiva che sia , quanto piuttosto della predilezione  monastica millenaria  per la stessa campagna : 

                infatti , alcuni monaci fuggirono e fuggono tuttoggi il chiasso delle metropoli come dei villaggi , per ritirarsi nei monasteri , spesso in luoghi di campagna , perché cercano e prediligono la solitudine , che è considerata come una via per arrivare più facilmente al rapporto migliore con Dio .

                Però mentre il Papini ancora (ma lo farà in futuro) non pensa coscientemente di usare la solitudine e la campagna quali mezzi per cercare o trovare più facilmente Dio, i monaci cercano la solitudine anche campagnola , con l' obbiettivo primario e perciò altamente cosciente , della ricerca di Dio . 

                E tuttavia il Papini è a mio avviso orientato a una ricerca o dimensione interiore in campagna, fortemente antiborghese e oltre il godimento villeggiante e ricreativo e basta : nella campagna egli trova non solo riposo e svago , ma in definitiva un appagamento maggiore che in città , alle inquietudini interiori che finiscono pure, come egli dice ,  per farlo "scrivere " e "crear" meglio , e che in futuro finiranno, credo ,  per riportarlo alla aperta fede in Dio . 

 

1: I brani successivi a 1 e 2 , ( cioè : 3. Le api anarchiche  e  4. Quanta fatica per il buon pane fatto in casa ), sono databili entrambi , attorno al 1910, come si deduce dagli annessi Commento e Introduzione  ai medesimi brani .

 

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1.LA CAMPAGNA COME MAESTRA PER TUTTI,  E SPECIE,  DEI PENSATORI E CREATORI.

2.LA CAMPAGNA TOSCANA PREFERITA NUDA E SENZA LUSSI.

3 LE API ANARCHICHE.

4 QUANTA FATICA PER MANGIARE IL BUON PANE FATTO IN CASA.

 

TESTO

1.LA CAMPAGNA COME MAESTRA PER TUTTI,  E SPECIE,  DEI PENSATORI E CREATORI.

(Da : G. Papini , La Campagna , 1909 : in : Maschilità , Firenze , Vallecchi , 1942 ; pp. 101-3)

 

                 Nel mio pensiero la campagna non era la campagna del dottore, dell' agronomo o del villeggiante, ma neppur quella del poeta. La mia campagna era una maestra, una maestra per tutti, ma specialmente per quelli che pensano e creano

                Per me era la solitudine, la possibilità della perfetta e lunga solitudine, cioè la prova del fuoco del genio ; era la semplicità, la rudezza, la vastità, la natura senza morale e senza mutande, cioè il contravveleno e il   contrappeso per quelle pesti dell' anima che sono l' artificio, la svenevolezza, la mollezza, i pregiudizi piccini, meschini e cittadini circa la convenienza, il buon costume e il linguaggio castrato e purgato. Era la forza, il lavoro e la franchezza contro il mal de' nervi, l' ozio e l' ipocrisia ; era la crudezza del parlare e la semplicità della vita contro le finzioni letterarie e il lusso noioso.

                Io contrapponevo, insomma, la città e la campagna come il pasticcino al pan nero, il salotto all ' aia, la maldicenza alla violenza, il ventaglio al vento, lo studentino al bifolco, la penna all' aratro, la libreria al pagliaio. 

                E mi pareva che di tutte queste silenziose lezioni della terra, avesser bisogno anche tutti questi uomini italiani che fanno le poesie, le critiche, le novelle e le filosofie. Mi pareva che in tutti ci fosse una gran pesantezza e una gran secchezza oppure quel dolciume e tenerume infioccato e guarnito che oggi forma la materia prima di gran parte della nostra letteratura. 

                O non potrebbe darsi che baciando un prato umido o facendosi arruffare i capelli da un fiato di vento o arrampicandosi a forza di lividi su per una montagnaccia, rifacessero un pò , di sangue e di muscolo e tornassero più freschi e meno effeminati all' usate faccende? 

                Questo pensavo e penso anche ora. Però, scrivendo queste cose,    m' accorgo che anch' esse son poesie e che forse la mia idea della campagna è un concetto fantastico e la mia speranza una pia e lirica aspirazione. 

                Ma che cosa volete farci? Se fossi poeta davvero tanto peggio per me e tanto meglio per voialtri. Ormai quel ch'è scritto è scritto e butto via volentieri la penna per andare in cima al mio poggio 1) a vedere a che punto sono i mietitori.

NOTE

 

1 : Si tratta del Poggio della Croce a Bulciano (Pieve S. Stefano , Arezzo ).

 

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2. LA CAMPAGNA TOSCANA PREFERITA 

NUDA E SENZA LUSSI.

(Da : G. Papini , Un uomo finito, Firenze, Vallecchi , 1912, pp. 49-53) .

 

                Oltre che a' libri ed a' morti debbo l'anima mia agli alberi ed          a' monti. La campagna mi educò quanto la biblioteca. Una certa e determinata campagna; tutto quel che c' è di poetico, di malinconico, di grigio e di solitario in me  l' ho avuto dalla campagna di Toscana, alla campagna ch' è intorno a Firenze.                  

                Mio padre, uomo di poche parole e di curiosità intellettuali superiori al suo stato, mi portava ogni domenica, da bambino, fuor di porta. S'andava via soli, dopo mangiato, senza parlare. Il babbo sapeva certe strade solitarie, deserte, fuori di mano, dove si camminava adagio adagio per ore intere e senza incontrare un' anima . 

                Il babbo era quasi sempre soprappensiero - io guardavo. Di sopra ai muri in cui la strada era incassata si penzolavano i rami convulsionari de' bigi olivi o sfilavano i rosai nani, poveri, non curati, i rosai colle rose fradice e sbiancate che cascavano foglia a foglia giù nella zanella a marcire. Quante miglia rasente a quei muri! Muri che vedo ancora; muri bassi, quasi muriccioli che invitavano la gente a sedere; muri altissimi, con alberi grossi, neri e fronzuti in alto, quasi a sostenere giardini pensili; muri nuovi, appena fuori di porta, incalcinati da poco e decorati di rustici graffiti da manovale. Ogni tanto un cancello di villa - cancelli chiusi e scuri, contro i quali saltava e rintronava di dentro, il cane abbaiante; cancelli spalancati, con un cipresso per parte, come per guardia, e un viale che andava in su, in pendio, fra siepi di mortella e di alloro. Ogni tanto i muri si aprivano e succedevano le siepi rive, alte, prunose, bianche di brina e di neve inverno, bianche di fiori in primavera, nere di more alla fine dell'estate. E più lontano ancora sparivano muri e siepi e la strada solinga e massicciata (come i viottoli conventuali in montagna) saliva tra i cipressi o gli abeti e avevo là sotto le valli solcate e i prati bagnati e i fondi di nebbia e l' illusione dell'infinito. 

                A me pareva di rinascere. Soltanto lassù, col vento in riso, senza cappello, senza pensiero preciso, sentivo di vivere come avrei voluto sempre. Quando si riscendeva per tornare in città la tristezza mi riagguantava il cuore e il pungente crepuscolo della sera accompagnava la mia nostalgia coi tocchi delle fievoli campane inascoltate. Allora, per non staccarmi da quel mondo libero e fresco, ne portavo con me qualche pezzo: un' oliva nera, grinzosa, lustra, trovata giù tra le foglie; una ghianda colla sua coppa ruspida; un sasso marmoreo scheggiato e tagliente a mo' di catena alpestre; una pina dura e verde; una coccola di cipresso; un marron d' india; una ciocca d' aghi d' abete: una gallozzola di cerro... A me piaceva tutto quel che era semplice e rozzo     -tutto quel che aveva un non so che di montagnolo e di non curato- quello che dava il senso della durezza, della solitudine, della vita sana e senza giardinieri. 

                Io non son nato per le campagne ricche, lussureggianti, meridionali e tropicali. La campagna che sento io, la campagna mia, è quella di Toscana; campagna nuda, povera, grigia, triste, chiusa, senza lussi, senza sfoggi di tinte, senza odori e festoni pagani, ma così intima, così familiare, così adatta alla sensibilità delicata, al pensiero dei solitari. Campagna un po' monacale e francescana, un po' aspra un po' nera, ove senti lo scheletro di sasso sotto la buccia erbosa, e i grandi monti bruni spopolati si rizzano a un tratto, quasi a minaccia delle valli placide e fruttifere. 

                Campagna sentimentale della mia fanciullezza; campagna eccitante e morale della mia gioventù, campagna toscana magra ed asciutta, fatta di pietra serena e di pietra forte, di fiori onesti e popolani, di cipressi risoluti, di quercioli e di pruni senza moine, quanto mi sembravi più bella delle campagne famose del sud, colle palme e gli aranci e i fichi d' india e la bianca polvere e il furente sole d' estate! 

 

3. LE API ANARCHICHE.

 

4. QUANTA FATICA PER MANGIARE IL BUON PANE FATTO IN CASA.

 

FINE

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