IL TOMISMO E' LA FILOSOFIA DEL BUON SENSO

Da:  G.K. Chesterton,  San Tommaso d'Aquino, Verona, Fede & Cultura, 2008, pp. 86-92;  Titolo originale del capitolo :  Cap VI  La filosofia tomistica  .

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Felice Cignani, San Tommaso d'Aquino, 1683-91, Forlì, Pinacoteca Civica

 

                Il Tomismo è la filosofia del buon senso, benché da molto tempo si sia usi considerarlo come l'opposto del buon senso. L'Europa e specialmente l'Inghilterra, dopo la riforma, sono state invase dalla passione per il paradosso. Ci si vanta di essere pratici perché non si è logici; ciò che per un greco e un cinese equivarrebbe a dire che i cassieri londinesi eccellono nella contabilità perché non sono troppo forti in aritmetica.

                Ma l'importante non è il fatto di ricorrere con tanta facilità al paradosso, bensì che il paradosso si sostituì all'ortodossia e l'umanità s'adagiò sul paradosso come su un letto di piume.

                Il buon uso del paradosso è destinato a risvegliare la mente. Oliver Wendel Holmes affermava: Dateci il superfluo e faremo a meno del necessario. Asserzione divertente ma inquietante: non si potrà non ammettere che si correrebbe un certo rischio qualora l'intero congegno sociale si basasse sull'affermazione: il necessario non è necessario. E il nostro sistema industriale passa veramente i limiti quando dice: Dateci il lusso, il sapone profumato e faremo a meno del pane .

                Meno evidente ma non meno certo si è che, non soltanto l'attività pratica, bensì la moderna filosofia ha subito questa strana deviazione. Dal XVI° secolo in poi nessun sistema corrisponde al senso della realtà, a quello che dalle persone comuni viene chiamato senso comune: si parte costantemente da un paradosso, da una asserzione che esige il sacrificio d'ogni suggerimento del buon senso. ecco Hobbs e Hegel, Kant e Bergson, Berkelev e William James chiederci di rinunciare a qualche evidenza palpabile, garantendoci con questo, cose strabilianti.

                Inutile dire, immagino che io parlo qui come un profano, un uomo della strada; attitudine conforme allo scopo prefissomi; cioè di dimostrare che il tomismo è più accessibile al volgo di qualsiasi altro sistema filosofico.

                Spero che Padre d'Arcy, il cui libro ammirevole su San Tommaso, m'ha illuminato su tanti problemi, saprà perdonare se io ricorro all'opera sua, appoggiandomi su un esempio, illustrare il mio pensiero. Nella sua qualità di metafisico, di sacerdote, egli è certamente abituato a una certa longanimità, non soltanto verso gli sciocchi, ma ancora verso le persone intelligenti; per questo gli è dato scrivere con tutta serenità frasi come questa : Si può scorgere una certa somiglianza tra lo scopo e il metodo di San Tommaso e lo scopo e il metodo di Hegel: esistono tuttavia non poche differenze; secondo San Tommaso è impossibile che gli opposti coesistano; e anche se la realtà corrisponde all'intelligibilità, bisogna che una cosa esista per essere intelligibile.

                Perdonate all'uomo della strada s'osa aggiungere che, a parer suo, la notevole differenza tra San Tommaso e Hegel, consiste nel fatto che San Tommaso era un Savio e Hegel un pazzo. Questo pezzente non ammette che Hegel possa al tempo stesso esistere e non esistere: e sia possibile comprendere Hegel se non esistono Hegel da comprendere.

                Eppure Padre d'Arcy cita questo paradosso hegeliano come cosa naturalissima; e naturalissima deve essere anche per i filosofi, poiché l'opera hegeliana ha ottenuto tra loro, non poco successo. Ma per me sinceramente la metafisica moderna presenta troppi inciampi, troppi ostacoli.

                All'opposto il sistema del d'Aquino parte dal punto di vista universale che un uovo è un uovo. Ora un hegeliano replicherà che un uovo è una gallina, perché esso fa parte dell'infinito processo del divenire; il seguace di Berkely sosterrà che la frittata esiste come esistono i sogni, visto che il sogno si può dire come causa della frittata come la frittata è causa del sogno; il pragmatico crederà che il miglior partito da trarre da un uovo è quello di dimenticare che esso sia stato un uovo e ricordare soltanto la frittata. Ma il tomista non ha bisogno di guastarsi il cervello per evitare di guastare le sue uova, né di guardare le uova in cagnesco, né di chiudere gli occhi per meglio meditare un nuova semplificazione delle uova. Dominatore nella luce sfavillante della fraternità umana, egli costaterà che le uova non sono galline, né sogni né supposizioni; bensì cose attestate dall'autorità dei sensi, ch'è di Dio.

                Pur apprezzando la profondità della filosofia tomistica, qualcuno s'è stupito ch'ella non consideri affatto quella da molti creduta la questione principe: possiamo provare la realtà dall'atto per il quale si percepisce il reale ? Ora San Tommaso riconosce istantaneamente ciò che altri hanno solo cominciato, con fatica, a sospettare: la necessità di rispondere affermativamente per non correre il rischio d'annullare qualsiasi risposta e qualsiasi domanda; o meglio ancora, il pensiero stesso . Si può immaginarci infatti uno scettico, ma non che lo scettico possa difendere il suo scetticismo. Se tutti i moti della sua mente sono senza scopo, allora tanto varrebbe convenire che la sua mente e lui stesso non hanno significato alcuno, e nullo sarebbe il tentativo di scoprirne il senso. Se qualche scettico continua ad esistere, è precisamente perché non è totalmente scettico: dopo aver negato alla fine, egli è costretto ad ammettere qualcosa, non fosse che per la comodità della discussione.

                Recentemente in un giornale qualcuno dichiara di non voler professare che il solipsismo, stupito che questa opinione non abbia maggiori seguaci. Ora poiché solipsismo (come dice il vocabolo stesso), significa credere soltanto in noi stessi e in null'altro, l'ingenuo sofista dimentica semplicemente che se la sua filosofia fosse giusta, non vi sarebbero molti filosofi a professarla.

                San Tommaso alla domanda Esiste un mondo ? Comincia col rispondere : Si . S'egli rispondesse no, non vi sarebbe più un principio ma una fine. Ecco quello che si chiama buon senso. O non vi sono filosofi, né filosofia, né pensatori, né pensiero, né nulla, oppure deve esistere un ponte tra l'intelletto e la realtà; questo primo passo ci porta al riconoscimento dell'Essere come qualcosa al di là di noi stessi .

                Non ho certo l'ingenuità di pretendere che tutti gli scritti di d'Aquino siano semplici e facili da capire. Contengono non solo punti a me incomprensibili, ma vi abbondano ora passaggi ardui anche per filosofi più profondi di me, ora periodi su cui differiscono le opinioni dei più insigni tomisti. Tuttavia una volta compresi, essi sono facilmente accettabili. E' come s'io scrivessi: Il gatto sedeva sul tappeto  in caratteri cinesi, o Maria aveva una pecorina  in geroglifici egiziani. Complico la lettura delle mie affermazioni, ma il senso ne è sempre chiaro. Noi troveremo quindi sempre nel d'Aquino, la semplicità accoppiata ad un grande buon senso.

                Secondo il mio debole parere, i punti più oscuri dell'opera di Tommaso sono  quelli in cui egli ci spiega come l'intelligenza sia certa d'un oggetto esteriore e non solamente di un'impressione dell'oggetto: tuttavia egli arriva a questa certezza attraverso un concetto e non soltanto attraverso un'impressione. Comunque qui essenziale è l'affermazione esser la mente certa d'un oggetto esterno. Scopo costante del d'Aquino è attenersi al buon senso, anche se talvolta le sue asserzioni non son prive di sottigliezza. I filosofi che gli succedono invece avvolgono ogni cosa in una nube oscura .

                Sfortunatamente tra l'uomo della strada e l'Angelo della Scuola -che per molti argomenti andrebbero perfettamente d'accordo- s'erge un'irta muraglia insormontabile: due difficoltà non riguardanti le necessità normali d'oggi e nemmeno quelle, per l'uomo normale, d'una filosofia normale. Si tratta della lingua e del metodo.

                La lingua ha grande importanza: anche tradotta essa è sempre una lingua straniera sovente non priva di controsensi. L'intera atmosfera di un'altra epoca, di un 'altro paese non è facile sia resa fedelmente ed efficacemente parola per parola. Si tratta di colore, di ritmo, di qualcosa di sottile, di profondo che sfugge al vocabolario straniero, il quale non potrà mai rispondere perfettamente allo spirito d'un altro popolo.

                Ad esempio l'intero sistema di San Tommaso s'impernia su una grande eppure semplice nozione che sovrasta tutto quello ch'è e potrà essere. Il nostro Grande rappresenta la sua concezione cosmica con la parola Ens , nella quale anche chi conosce solo superficialmente il latino avverte una perfetta appropriazione.

                Ma sfortunatamente non possediamo alcuna soddisfacente traduzione della parola Ens, e la difficoltà non è tanto verbale quanto logica. Quando il traduttore dice in inglese being (essere) si ha l'intuizione di una diversità di atmosfera, e l'atmosfera influisce innegabilmente sull'intelletto, anche se teoricamente non lo dovrebbe.

                I nuovi psicologi non si stancano di affermare che i termini da noi usati assumono, nella nostra subcoscienza, un significato che intendiamo escludere dalla nostra coscienza: non occorre essere idealmente irrazionali come i moderni psicologi per ammettere che l'espressione e il suono delle parole costituiscono una differenza nella più scheletrica prosa come nella più alta poesia. Ora la parola Essere è già più banale che la breve incisiva parola latina. Inoltre essa ricorre abbondantemente in innumeri sistemi filosofici con significati non sempre concordi. Ecco discutere nelle aule scolastiche, delle ineffabili altezze del puro e radiante Essere ; ecco i biologi parlare delle scale degli Esseri; e i romanzieri nelle comuni storie d'amore, decantarci un essere adorabile . E ognuna di queste frasi ha per noi una diversa suggestione.

                Quando diciamo che il d'Aquino si basa essenzialmente sull'essere, non intendiamo considerarlo un idealista in senso più retorico che filosofico. Egli non fu un retorico, anzi lo fu troppo poco, e se talvolta, fece della poesia, non fece però mai dell'eloquenza, e se la sua filosofia poté ispirare la poesia -come infatti ispirò quella dantesca- la sua immaginazione funzionò però sempre senza immagini retoriche. Meglio ancora essa è tanto poetica quanto filosofica. Egli possiede uno stile conciso, privo d'ornamenti. Differisce in modo sorprendente da quello, ad esempio di Sant'Agostino e di parecchi altri Dottori cattolici. E per ciò che concerne il metodo logico, si può dire che il d'Aquino sia il solo razionalista da noi conosciuto.

                E questo ci porta all'altra difficoltà . Non ho mai capito perché un sillogismo debba avere un significato stantio ed antiquato, e ancor meno ciò che si intende dire quando si pretende di avere rimpiazzato la deduzione con l'induzione. La deduzione è l'esatta conclusione di una esatta premessa: induzione equivale a raccogliere il maggior numero possibile di esatte premesse; e nel campo delle scienze naturali: preoccuparsi maggiormente di verificare l'esattezza delle premesse. E benché un moderno sia in grado di ricavare da un buon numero di premesse concernenti i microbi e asteroidi molto di più di quanto fosse concesso allo scienziato medioevale il quale possedeva solo poche premesse sulle salamandre e sui liocorni, il processo di deduzione è uguale per entrambi; ciò che pomposamente viene chiamata induzione è semplicemente la raccolta di più documenti. Aristotele e il d'Aquino e altre persone intelligenti affermarono che la conclusione può essere esatta solo a condizione che le premesse lo siano, e più le premesse sono numerose ed esatte, tanto più soddisfacenti saranno le conclusioni.

                Anche se la cultura medioevale avesse fiorito in migliori condizioni di lavoro e di esperimenti, non si sarebbe avuto che premesse dalle quali sarebbe stato necessario dedurre delle conclusioni. Ma ciò che veramente non comprendo, è perché ci si ostini a parlare dell'induzione come d'un processo magico che permetterebbe di venire ad una conclusione senza abbassarsi alla degradazione mentale chiamata sillogismo. L'induzione in realtà non conduce alla conclusione, ma soltanto alla deduzione, e se il ragionamento è errato, la conclusione è pure interamente sbagliata.

                Nel XIX° secolo i grandi scienziati che mi s' insegnò a venerare, avendo ispezionato l'aria, l'acqua, la terra, i gas (e certo molto più minutamente di quanto fosse stato fatto prima di loro) riepilogarono le loro affermazioni in un sillogismo : Tutta la materia è composta di microscopici corpi indivisibili, e poiché il nostro corpo è fatto di materia, esso è composto di minuscoli corpi indivisibili. I loro figli e i loro nipoti, riprendendo in esame la materia, ebbero la sorpresa di non trovarvi alcun corpuscolo e perciò dovettero ricorrere ad un nuovo sillogismo: La materia è composta di protoni ed elettroni; quindi il nostro corpo fatto di materia, è fatto di protoni e di elettroni .

                Buon ragionamento ma soggetto ad errore quanto il primo, e si dovrà nuovamente di tempo in tempo riesaminare la materia, onde essere sicuri che la nostra è un'esatta premessa ed un'esatta conclusione.

                Per trovare la verità non c'è che trovare un buon sillogismo e in attesa, come è uso, se ne fanno di cattivi. La materia si compone di protoni e di elettroni: mi piace quindi credere che lo spirito sia della stessa natura della materia; perciò voglio annunciare coi microfoni e i megafoni, che lo spirito è fatto di protoni e di elettroni. Però questa non è induzione, ma solo un errore di deduzione: non è un nuovo e diverso metodo di pensiero, bensì semplicemente un metodo errato di pensiero.

                San Tommaso generalmente non ragiona con sillogismi, quantunque pensi sempre sillogisticamente: non espone per ogni caso il meccanismo della sua logica, come pretende erroneamente il Rinascimento, ma ragiona, insegna con austerità, e la sua prosa sembra eccessivamente disadorna agli amatori della letteratura superficiale.

                Ciò però non ha nulla a che fare con la questione di cui tratta questo capitolo: sapere cioè quello ch'egli vuole. E quello ch'egli vuole, lo ripeto energicamente, è il buon senso, quel buon senso che anche ora si raccomanda da se stesso. San Tommaso sostiene che vedere è credere: la prova della realtà d'una torta c'è fornita dal mangiarla; e nessuno può negare d'esistere. Egli appoggia le sue verità con astrazioni, le quali però non sono più astratte delle correnti nozioni d'evoluzione, energia, spazio e tempo, e non risultano, come queste, in aperta contraddizione con le realtà tangibili della vita quotidiana.

                Il pragmatismo che pretende d'essere pratico, finisce col diventare prettamente teorico: il Tomismo, che proclama d'essere teorico, finisce col trovare una base solida e sicura nel reale.

                Ed è per questo che oggigiorno gran parte del mondo vi ritorna.

 

 

FINE

 

 

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