LA SAPIENZA CANTA SE STESSA

Da : Aristide Serra, La Sapienza Canta se stessa,  in :  La Bibbia per la Famiglia, a cura di Gianfranco Ravasi, Milano San Paolo 1996; pp. 248-254;

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Benedetto Luti -1666,1724- , Allegoria della saggezza, Coll privata

                Secondo le tradizioni d’Israele elaborate soprattutto dopo l’esilio di Babilonia (terminato nel 538 a.C.), la Sapienza è il pensiero di Dio, il suo disegno, il suo progetto la sua volontà. Dall’eternità  questo disegno era racchiuso (per così dire) nella mente stessa di Dio. Era un mistero, ossia una realtà nascosta (il verbo greco myo, da cui mysterium, racchiudere, celare). Ma poi è diventato sapienza, vale a dire una cosa aperta, manifesta, chiara, (l’aggettivo greco saphes, dal quale deriva il sostantivo saphia, sapienza, significa appunto terso, chiaro, luminoso, evidente) .

                In effetti il progetto di Dio si è rivelato palesemente quando ha creato l’universo, con l’uomo al centro degli esseri che lo riempiono; si è disvelato ancora nelle vicende della storia umana, soprattutto in quelle del popolo d’Israele, che costituiscono la Storia della salvezza. In conclusione la Creazione tutta quanta con la varietà degli elementi che la Adornano, e la storia umana, segnatamente quella d’Israele, sono il libro aperto nel quale si può leggere la Sapienza di Dio. Lì splende il progetto del Signore.

                Nella Creazione in primo luogo. Canta il salmista: Tutto o Signore hai fatto con sapienza, la terra è piena delle tue creature (Salmo 104,24). Di conseguenza ogni essere del cosmo è Teofanico, cioè manifesta e rivela Dio. Infatti riflette in termini concreti e visibili, il pensiero di Lui. Poi nella storia con riferimento privilegiato a quella d’Israele, è sotteso un filo conduttore che parte da Dio: da Adamo ad Abramo, da Abramo a tutti i suoi condiscendenti, Dio porta a compimento la sua volontà di essere con l’uomo per donare salvezza, cioè felicità piena (Sapienza 9,18; crf. 10,1 19,22).

                Tutta questa dottrina trova un’eco nella prima parte del Siracide 24 (versetti 1-22) dove la Sapienza stessa inneggia al ruolo che essa stessa ha svolto nella Creazione del mondo e delle vicende storiche d’Israele, il popolo che Dio ha scelto come sua dimora.

                La Sapienza è uscita dalla bocca dell’Altissimo (versetto 2°), da lui è stata creata nell’inizio prima del tempo (versetto 9a ), cioè prima che il mondo fosse chiamato all’esistenza (crf Proverbi 8,22-26). Dall’eternità quindi sua sede, è il trono divino, nelle altezze celesti al di sopra delle nubi (Siracide 24,4; Confronta Sapienza 9,10). Quando il Creatore si accinse a dare vita alla mirabile varietà degli esseri che compongono l’universo, la sapienza usciva dalla sua bocca come parola creatrice: “Dio allora odinò: ‘Vi sia la Luce’. E vi fu la Luce” (Genesi 1,3) … La Sapienza stava accanto al Creatore come Architetto (Proverbi 8,30). Detto con parole nostre il Signore creava l’universo secondo un piano, un’idea ordinatrice da lui concepita prima del tempo. Nulla è affidato al caso, ma tutto risponde e pone in atto quel disegno preordinato, così come farebbe un costruttore che edifica la casa secondo un progetto previo delineato su una mappa. Dunque il Signore stesso l’ha creata, l’ha vista e l’ha misurata, l’ha riversata su tutte le sue opere (Siracide 1,7).

                Il Siracide esprime questa convinzione con due immagini spaziali, l’una verticale l’altra orizzontale: Io sola ho fatto il giro del Cielo e ho percorso le profondità degli abissi. Sui flutti del mare e tutta la terra, su ogni popolo  e nazione avevo dominio (24,5-6).

                Pertanto un pensiero di Dio si manifesta tra tutte le creature che vivono tra le altezze del firmamento celeste e gli abissi della terra, e dal mare alla terra ferma. La sapienza pervade e penetra l’intera creazione. Essa [ha] ricoperto come vapore la terra (Versetto 3b), poiché su tutto aleggiava lo Spirito-energia di Dio (Genesi 1,2; Crf Giobbe 38,9).

                Successivamente all’opera della Creazione vi è stato un intervento speciale di Dio nella vita del suo popolo. Ad Abramo e alla nazione che da lui discende, Dio mediante i profeti suoi portavoce, ha rivelato i suoi pensieri, il suo disegno d’amore in favore di tutta l’umanità. In una parola la sua sapienza. Il Siracide revoca celebrandola, questa peculiare economia del Signore verso Israele suo eletto.

                All’inizio di tutto sta l’iniziativa di Dio, che ordina alla Sapienza : Fissa la tenda in Giacobbe, sia Israele la tua eredità (24,8). E’ condensata in questo precetto l’esperienza che Israele ha fatto con il suo Dio nel quadro dell’alleanza. A seguito del patto del Sinai, Giacobbe-Israele diviene porzione eletta e speciale proprietà del Signore (versetti 8 e 12; crf Esodo 19,3-6), il quale abita e cammina in mezzo al suo popolo (Esodo 25,8; Levitico 26,11-12). Il luogo emblematico della dimora divina in mezzo a Israele, è l’Arca, custodita dentro la tenda del convegno durante la peregrinazione nel deserto e poi nel tempio di Gerusalemme la città che ama (versetto 11). La sapienza pertanto prende riposo stabile in Israele (versetto 7) mette le radici in mezzo a un popolo reso glorioso dalla presenza del suo Signore (versetto 12; crf Isaia 60, 1-2). Il concetto di radici, s’espande dunque su due altri livelli simbolici connessi al medesimo campo semantico: l’albero e il profumo.

                Per tre volte è detto che dalle radici della sapienza un albero maestoso cresce in altezza (versetti 13-14). Per esaltare l’eccellenza di questo albero figurativo sono scelte le piante o gli arbusti più rinomati che attecchiscono in Palestina: il Cedro, il Cipresso, la Palma, la Rosa, l’Ulivo, il Platano, il Terebinto, la Vite (versetti 13-14. 16-17). La sua crescita è ritmata secondo categorie di spazio che corrispondono ai confini d’Israele. Dall’estremo nord (il Libano e l’Ermon, versetto 13) si scende all’est (Engaddi sul Mar Morto, versetto 14a) e si passa all’ovest (la pianura costiera del Mediterraneo, versetto 14b). Decodificando la metafora spaziale, si conclude che la sapienza ricopre l’intera superficie della Terra Promessa.

                I profumi più pregiati, sono l’altro termine di confronto scelto per definire la qualità eminente dell’albero scaturito dalla spinta vitale che erompe dalle radici della sapienza. Ciascuno di essi ha attinenza con il servizio cultuale regolato dalle istituzioni d’Israele. Il Cinnamomo, il Balsamo e la Mirra (versetto 15 ab) erano ingredienti prescritti per la confezione dell’olio destinato alle unzioni sacre (Esodo 30, 22-23). Il Galbano, l’Onice e lo Storace (versetto 15c) servivano per ricavare il profumo da bruciare come incenso purissimo (Esodo 30,34-38). La risultanza di questi effluvi odorosi è che la Sapienza effonde il suo profumo come vapore d’incenso nel santuario (versetto 15 d).

                Grazie ai suggerimenti plurimi evocati dai suddetti simbolismi, si arriva alla seguente definizione. La terra promessa ove abita Israele, è il nuovo giardino dell’Eden, impreziosito da alberi bellissimi, dai quali emanano profumi deliziosi che si diffondono in tutte le direzioni. Ed anche un mistico tempio nel quale è in atto una liturgia perenne. In effetti la tradizione giudaica coeva al Siracide, considerava l’Eden il primo tempio del mondo, poiché il Signore vi passeggiava alla brezza del giorno (Genesi 3,8); il Sinai e il Sion, saranno la replica di quel tempio primordiale che faceva da aula alla presenza del Signore.

                Spiccava in mezzo all’Eden delle origini, l’Albero della vita (Genesi 2,15), ma il Signore Dio non permetteva all’uomo di stendere la mano per mangiarne i frutti (Genesi 3,22). Ora nella rilettura del Siracide, il nuovo Albero della vita è la Sapienza stessa. La condanna antica, tuttavia è superata. Tant’è che Dio mediante la Sapienza invita l’uomo ad accostarsi a quest’albero della nuova creazione : Venite a me voi che mi desiderate e saziatevi dei miei frutti (versetto 18).

                Di qui il passaggio alla valenza simbolica della sapienza-cibo. Le virtù nutritive che ella possiede destano un ricordo dolcissimo, un’attrattiva seducente incontenibile (versetto 19). Chi siede alla sua mensa avrà ancora fame e sete (versetto 20). Poi un’acquisizione più avanzata nel crescendo simbolico: cibarsi della sapienza è un impegno etico-morale che richiede di obbedire ai suoi comandi e di mettere in pratica le opere da essa suggerite. A questo patto il commensale della sapienza evita la vergogna del peccato (versetto 21; crf Salmo 119,11).

                Qui termina l’autopresentazione della Sapienza, intessuta di simbolismi. Ormai il velo è sollevato al completo. E’ tempo adesso di porre la domanda risolutiva: che cos’è la Sapienza per Israele ? A sciogliere l’enigma non è però la Sapienza maestra. Ella cede la parola al Siracide, suo discepolo che risponde: la Sapienza si trova nella Torah! Eccoci pertanto al secondo pannello del nostro dittico.

                Sotto la voce Torah, che significa Insegnamento, si intende di frequente il complesso dei primi cinque libri della Bibbia, chiamati per questo anche Legge di Mosè  (Genesi, Esodo,Levitico, Numeri e Deuteronomio). In senso più vasto, tuttavia, lo stesso termine si applica a tutto il patrimonio di rivelazione che Dio ha comunicato a Israele attraverso i profeti, il più grande dei quali è stato certamente Mosè.

                Di qui l’identificazione pratica tra Sapienza e Torah che andò affermandosi specialmente dal post-esilio babilonese in avanti.  I libri della Sacra Scrittura o Torah, sono infatti il documento di ciò che il Signore ha operato sia nella creazione del mondo sia nella storia dell’uomo, con accentuazione per quella d’Israele. In quei testi il pio israelita da una parte può conoscere la Sapienza del Signore intesa -dicevamo sopra- come pensiero-disegno-progetto-volontà di Dio; dall’altra può diventare egli stesso sapiente, in quanto il magistero delle scritture sante, gli indica la via ove camminare per vivere in accordo con la legge del Signore e inserirsi quindi nell’ottica divina. Chi accoglie la Torah Sapienza trova la vita; chi la rifiuta si condanna alla morte  (Baruc 3, 37-41).

                Il Siracide è a conoscenza di questi sviluppi dottrinali acquisiti in ambito giudaico. In apertura del suo libro si afferma (echeggiando Deuteronomio 4,5-6) che Israele è da ammirare quanto a dottrina e sapienza in virtù dei libri sacri denominati con la formula comprensiva : Legge, Profeti e Altri scritti (Prologo). Può dichiarare quindi: Chi possiede la legge, otterrà la Sapienza (Siracide 15,1; Giobbe 28,28). E stende poi un sommario più diffuso al riguardo, nel capitolo 24, 22-32, che è un brano classico per il binomio sapienza-torah.

                Tutto questo [ossia quanto ha proclamato la Sapienza di se stessa nei versetti 1-22] è il libro dell’Alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha comandato Mosè, donata dal Signore quando fu ratificata l’alleanza al Monte Sinai. Da allora la Torah è divenuta l’eredità delle tribù di Giacobbe-Israele (crf Esodo 19,5). Di questa accoglienza della legge da parte del popolo è qui sottolineata la dimensione liturgico-ecclesiale. Infatti la comunità d’Israele proclama la Torah nelle riunioni sinagogali. Alla luce di questa prassi culturale si può dire, in un certo senso, che la Sapienza loda se stessa e si vanta in mezzo al popolo. Apre la bocca nell’Assemblea dell’Altissimo (Siracide 24,1-2). Ogni volta che la Torah è letta e spiegata nella Sinagoga (crf Atti 15,21), lì essa imparte i tesori del suo insegnamento.

                Nel quadro della terminologia biblica l’acqua era il simbolo principe della Torah. Essa trabocca sapienza, intelligenza, dottrina, : una triade familiare al lessico delle tematiche sapienziali. Come termine di confronto, atto a esprimere la copiosità di tanta ricchezza, in Siracide 24, sono menzionati sei fiumi tra i più abbondanti di acque fra quelli allora conosciuti o celebrati dai racconti mitici. Si noterà come il Siracide torna a riannodare il suo discorso alle tradizioni dell’Eden. Infatti quattro dei fiumi da lui nominati (il Pison, il Ghicon, il Tigri e l’Eufrate) corrispondono a quelli che irrorano il Giardino dell’Eden (Genesi 2,10-14). In più aggiunge il Giordano e il Nilo (versetti 23-25). Il messaggio è cristallino: anche sommando le correnti dei fiumi più rigonfi di acque del nostro mondo, mai l’uomo arriverebbe a esaurire il potenziale di ricchezza insito nella Torah Sapienza: Il primo uomo non avrà finito di conoscerla, né l’ultimo la potrà pienamente investigare. I suoi pensieri infatti sono più vasti del mare e il suo consiglio più grande dell’abisso (versetti 26-27).

                Se la Sapienza è un fiume dalle acque rigogliose, il Sapiente è un canale da lei derivato, un suo rivolo che innaffia il giardino della propria persona. Egli stesso si converte in un altro Eden-Paradiso. Anzi il suo sapere cresce a tal punto che il canale si dilaga in fiume da fiume in mare (versetti 28-30). Come dire: la sapienza consegue effetti mirabili nel sapiente suo discepolo che a lei si avvicina e si sazia dei suoi frutti (versetto 18). Alla metafora dell’acqua fa da rincalzo quella della luce, assunta come cifra simbolica dell’educazione e dell’insegnamento di cui è ricolmo il sapiente: Farò brillare la dottrina come l’aurora, la farò splendere (versetto 30). Per natura sua, la Sapienza è dono del Signore (Siracide 1,1-8). In quanto dono esige a sua volta di essere partecipata a tutti, nello spazio e nel tempo: La farò splendere molto lontano…la trasmetterò alle generazioni future (versetti 30-31). Chi si affatica alla Scuola della Sapienza, si scopre debitore verso tutti coloro che sono alla sua ricerca (versetto 32).

                Non siamo lontani da quanto dirà Gesù, Sapienza incarnata nel Discorso della Montagna: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Matteo 10,8). E durante la festa dei tabernacoli tra il fluire di acque lustrali e lo splendore di luci scintillanti, Gesù esclamerà a gran voce: Chi ha sete venga a me e beva; chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno…Io sono la luce del mondo (Gv 7, 37-38; 8,12) .

 

 

 

FINE

 

 

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