IL CASO GALILEI

(Antonino Zichichi,  Perché io credo in colui che ha fatto il mondo ,  Milano, Tropea 2009, pp.190-99)

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Antonino Zichichi

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                 Il caso Galilei è ancora cronaca. Dobbiamo aspettare qualche migliaio d'anni per avere di esso, una lettura fedele. In gioco non c'è una delle numerose manifestazioni in cui si estrinseca  l'esistenza di questa forma di materia vivente detta uomo. C'è ben altro. Si perde nella notte dei tempi l'invenzione del linguaggio (ne abbiamo parlato nei paragrafi II.11 e VI.9). Con il paradosso del bugiardo l'uomo scopre che è necessario fare attenzione nel costruire un ragionamento, grazie all'uso apparentemente corretto, del linguaggio stesso. E' così che nasce la logica, tremila anni fa, circa (vedi paragrafo VI.6). Non però la scienza.

                Per avere un'idea di cos'è il ben altro sopra citato, bisogna dare uno sguardo alla tecnica pre-galileiana, allo studio degli astri prima di Galilei e all'attenta analisi della logica del Creato su cui si erano cimentati (senza fare mai un esperimento) gli intelletti, anche i più potenti e acuti di tutte le civiltà.

                Da quando esiste la vita per questa nostra specie, ci sono state le Stelle, il Sole, la Luna, il firmamento, la ruota, il fuoco, le piume e anche le pietre che sono sempre cadute dall'alto verso il basso. Lo spettacolo della vita di ogni giorno era dinanzi agli occhi di tutti ma nessuno riusciva a trovare il filo logico corretto che potesse connettere tutti questi fenomeni, apparentemente diversi e senza alcun legame.

                Per migliaia di anni l'uomo era rimasto inchiodato su una tecnologia che aveva solo due grandi invenzioni: la ruota e il fuoco. Il motivo di questa paralisi era dovuto al fatto che né il fuoco né la ruota né le pietre che cadono sempre dall'alto verso il basso  né le piume che invece restavano sospese nell'aria, erano stati capiti quali dettagli che derivano da una rigorosa logica del Creato. La tecnologia dell'era pregalileiana si muoveva come un uomo di notte in una foresta sconosciuta. Tentava e ritentava vagando al buio nella foresta. La tecnologia moderna si muove su binari sicuri: le forze e le strutture fondamentali che reggono tutta la realtà dal milionesimo di miliardesimo di centimetro a miliardi di miliardi di chilometri: dal cuore di un protone ai confini del Cosmo. Ecco il motivo delle innumerevoli applicazioni tecnologiche che hanno trasformato il mondo.

              Galilei non è solo grande per le sue straordinarie scoperte astronomiche (macchie solari, montagne della luna, fasi di Venere, satelliti di Giove, anelli di saturno) ma per avere scoperto le prime impronte di colui che ha fatto il mondo: il principio d'inerzia, la relatività del moto, l'equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Galilei ha misurato l'accelerazione di gravità inventando il piano inclinato, usando cioè un pezzo di legno e una pietra. E come orologio il battito del cuore. Ancora oggi sorprende la velocità con cui cadono le pietre: troppo veloci per essere misurate. E invece no. Il piano inclinato permette di rallentare il moto di caduta tanto quanto si vuole. E le misure si fanno senza difficoltà. Le avrebbero potute fare i Greci, quelle misure.

                Per fare quelle misure era stato necessario riconoscere che la realtà a noi vicina aveva almeno la stessa dignità culturale della realtà celeste. Realtà celeste che non permette di fare esperimenti. Non possiamo prendere una stella, accenderla e spegnerla quando e come ci pare. Possiamo invece prendere una candela e fare tutti gli esperimenti che vogliamo sulla sua luce. Fare un esperimento però vuol dire arrendersi dinanzi alla difficoltà di capire qualcosa osservandola e usando la ragione. Perché arrendersi? Non basta osservare un fenomeno (ad esempio le pietre cadono sempre dall'alto verso il basso) e ragionarci sopra? Perché misurare la velocità con cui cade una pietra ? A cosa serve? Forse non siamo abbastanza intelligenti per arrivare alla conclusione definitiva sul significato proprio di quella caduta, sempre dall'alto verso il basso? E poi perché umiliarsi al punto di studiare un oggetto volgare qual'è una pietra ? Non è forse più degno della nostra potenza intellettuale studiare la realtà celeste? Chi avesse detto : nel cielo non si possono fare esperimenti, avrebbe avuto come risposta: e che bisogno c'è di esperimenti? Non basta la potenza del nostro intelletto per trovare le risposte corrette?

                La realtà a noi vicina permette di porre domande a Colui che ha fatto il mondo, la realtà celeste no. Pietre e Cielo sono due realtà diverse.  La potenza intellettuale della specie umana deve misurarsi con la realtà celeste (pensavano i pregalileiani) non con la realtà materiale alla portata di tutti. La realtà celeste è vero che non permette di fare esperimenti. Ma questa proibizione porta con sé un messaggio: proibito in quanto inutile. E' ovvio che con la realtà terrestre si possono fare esperimenti ma è la realtà celeste a dirci che sono inutili.

                Sembrava fosse proprio questo il messaggio che ci dava la realtà celeste: non è possibile fare esperimenti perché non serve a nulla arrendersi. Basta la potenza della nostra ragione per capire l'immanente. Le pietre e le stelle. Restando però la realtà celeste l'unica depositaria della verità .

                Risalgono infatti ai tempi della civiltà greca i primi studi in cui il Cielo viene trattato in modo razionale e quanto più possibile, rigorosamente logico.

                Questa avventura intellettuale inizia seicento anni prima di Cristo e va avanti per oltre due millenni fino a Galilei. Il primo fu Talete che portò in Grecia (viaggiava molto) le osservazioni degli Egizi. Talete era convinto che bastava osservare il Cielo (e i suoi fenomeni) e riflettere in modo logico per capire tutto. Cent'anni dopo Talete arriva Pitagora (di Samo). Pitagora pensa che si possa capire tutto sulla base delle proprietà dei numeri: dimensioni, distanze, proporzioni di fenomeni celesti hanno la loro radice logica nelle loro proprietà numeriche. L'idea di Pitagora è quella di associare fenomeni celesti e numeri. Pitagora aveva ragione a entusiasmarsi ragionando con i numeri. E infatti Pitagora scoprì che usando uno qualsiasi dei numeri noti e dividendolo per un altro qualsiasi dei numeri noti non era possibile ottenere un numero di tipo nuovo, mai prima concepito, totalmente estraneo a tutti i numeri ottenibili prendendone due qualsiasi di quelli noti e dividendoli tra di loro. Eppure questi nuovi numeri esistevano. Esempio: quel numero che moltiplicato per se stesso fa due. Lo scoprì Pitagora. Nessuno saprà mai calcolare, nemmeno oggi, quanto esattamente fa. Incredibile, eppure vero.

                Noi conosciamo il numero due, quel semplicissimo numero che si ottiene sommando uno più uno. Ed ecco la grande scoperta. Non riusciremo mai a sapere il valore del numero che moltiplicato per se stesso fa due. Esso è circa 1,4 e più esattamente: 1,4142136...  . I puntini indicano numeri senza alcuna regolarità; il numero nuovo scoperto da Pitagora non è possibile ottenerlo provando a dividere l'infinità dei numeri interi e razionali tra di loro 1).

                Pitagora scopre il primo esempio di numero irrazionale. Quanti ce ne sono ? Un'altra enorme infinità. E infatti il primo esempio scoperto da Pitagora, cioè il numero che moltiplicato per se stesso dà per risultato quel semplicissimo numero che è il numero due, è l'inizio di una nuova avventura intellettuale. Di numeri dello stesso tipo di quello scoperto da Pitagora ce ne sono un'infinità.

                Pitagora si entusiasmò moltissimo nello scoprire che esistono numeri i quali non possono essere ottenuti dividendo l'infinità dei numeri interi e razionali. L'entusiasmo per queste scoperte fece immaginare a Pitagora che dovesse esistere un'armonia dell'universo, basata sui numeri.

                Ritorniamo a Talete. Tra i due c'è un legame. Talete osserva il cielo e riflette in modo logico su ciò che riesce a osservare. Pitagora osserva il cielo e cerca di associare ciò che osserva a quantità numeriche.

                Arriva Platone e osservando il Cielo, cerca dedurne proprietà geometriche. Infatti tutto sembra girare attorno a noi in modo geometricamente perfetto.

                Aristotele discepolo di Platone, cerca in tutti i modi di trarre il massimo dalla riflessione logica sulle osservazioni non solo del cielo ma dei fenomeni fisici più svariati, senza però bussare alla porta di Colui che ha fatto il mondo. Aristotele domina per duemila anni i tentativi fatti dall'uomo per capire nell'Immanente, da dove veniamo, di cosa siamo fatti e dove andiamo. Senza che mai nessuno sentisse il bisogno di bussare alla porta del Creatore. Si arriva così a Galileo Galilei. Dicevamo: non basta nell'immanente ragionare. Non basta affidarsi alla pura logica come pensava Talete. Né basta approfondire la logica legandola a quella dei numeri, come pensava Pitagora. Né basta la logica della geometria come pensava Platone. Nè basta approfondire questi pensieri mettendo insieme tutto come pensava Aristotele. Tutto ciò non basta. C'è bisogno di bussare alla porta del Creatore. Perché? Tra le tante strade logicamente rigorose solo una (paragrafo I.1) è stata scelta: questa la possiamo scoprire, non inventare; scoprire bussando alla porta e chiedendo: Tu cosa hai fatto ? Esempio: l'Antimateria c'è o no ? Le Colonne fondamentali sono due, tre o quattro ? Le Forze fondamentali quante sono ? Risposte: l'Antimateria c'è. Il protone non si rompe. Le Colonne fondamentali sono tre. Le Forze fondamentali sono tre.

                E se così non fosse stato, sarebbe ancora possibile costruire il mondo in modo rigorosamente logico ? Risposta: si. Però noi non saremmo qui. Né il Cosmo sarebbe così com'è. Einstein diceva: Io vorrei sapere se Dio nel fare il mondo aveva o no altre scelte. A questa domanda si può solo rispondere bussando alla sua porta e chiedendoglielo. Ecco l'insegnamento di Galilei. Che possano esistere altre strade, altre scelte per fare mondi diversi dal nostro, nessuno può escluderlo. A me interessa capire questo nostro mondo, questo nostro universo. E' un compito arduo, affascinante, lungi dall'essere arrivato al traguardo.

                Il fascino della scienza sta nell'infinita sorgente di nuovi concetti che vengono fuori bussando alla porta di Colui che ha fatto il mondo. Questo mondo ha nel suo seno il fascino del sempre nuovo. Chi avrebbe saputo immaginare che l'atomo di Democrito non è l'ultimo pezzettino di materia? L'ultimo che non si può rompere perché non è fatto d'altro? Colui che ha fatto il mondo ha deciso che l'ultimo pezzettino di materia non si può rompere più, anche se è fatto di tante cose. Talmente tante che rappresentano uno straordinario universo, pur se dentro al cuore di un Protone: l'Universo subnucleare 2) .

                Lo abbiamo scoperto bussando alla porta, non ragionando e basta. E nemmeno ragionando in modo matematicamente rigoroso, usando quindi la logica dei numeri, la logica delle figure geometriche o altre logiche, ma bussando alla porta. Ecco la grande scoperta galileiana. Bisogna saper bussare alla porta del Creatore e chiedergli: Tu qui in questo particolare caso, cosa hai scelto ? E' così che l'uomo scopre le prime impronte del Creatore arrivando, dopo appena quattrocento anni da Galilei, a formulare l'ipotesi del Supermondo. Abbiamo già avuto modo di parlare delle grandi scoperte galileiane. Una breve sintesi servirà forse a capire l'enorme importanza delle scoperte ottenute da chi ha avuto il privilegio di essere il primo ad aprire il Libro della Natura :

                1 : L'universalità del moto (paragrafi V.11 e VI.11). Tutti i movimenti sono aspetti diversi della stessa entità fisica -il moto- senza che particolari tipi di moto siano legati a proprietà speciali come quelle dei corpi celesti. I movimenti rotatori non sono privilegio dei corpi celesti né quelli rettilinei sono tipici dei corpi sublunari. Insomma, il mondo sublunare assurge alla stessa dignità della realtà celeste.

                2 : Il Principio di Relatività (paragrafi III.2 e VIII.6). Muoversi a velocità diverse, purché costanti, non produce alcun effetto fisico misurabile.

                3 : Il Principio di Inerzia (paragrafi II,7 e V,9). Se un oggetto si muove e se non c'è attrito, quel movimento continuerà sempre. Non sappiamo chi sia l'inventore della ruota. Fu Galilei a capirne il principio: se riduci l'attrito cammini gratis. Ecco perché si mette l'olio nel motore. Se la legge del moto fosse stata quella aristotelica (forza proporzionale alla velocità) 3), sarebbe uno spreco inutile mettere l'olio nel motore, in quanto non sarebbe l'attrito a rallentare il moto .

                4 : Galilei grazie alla scoperta del Principio di Relatività e del Principio di Inerzia, libera la Terra dall'incubo di dovere stare ferma al centro del mondo. Prima di Galilei si pensava che, se un corpo materiale si muove, ci deve essere una forza che lo spinge. Movimenti con velocità diverse non potevano avere nulla in comune in quanto erano concepiti come entità sottoposte a forze diverse. Galilei scoprì che la forza serve per cambiare velocità. Se un oggetto è fermo, debbo applicargli una forza affinché inizi a muoversi. Una volta in moto, posso staccare la forza e, se non c'è attrito, quell'oggetto non si fermerà più. Ce lo assicura il Principio di inerzia. Il Principio di relatività ci assicura che se ci trovassimo nel salone di una nave, non sapremmo dire se essa è ferma al Porto di Livorno o in viaggio sul mare piatto. Non serve a nulla essere fermi al centro del mondo. Velocità costante zero equivale a velocità costante qualsiasi. Ci si può muovere a velocità costante e non c'è privilegio alcuno di avere una velocità anziché un'altra.

                5 : L'esperimento piuma e martello (paragrafo II.2). Sulla luna dove non c'è aria ma vuoto, piuma e martello devono cadere in moto identico. Oggetti leggeri e pesanti cadono come se le loro masse non entrassero in gioco. La massa che si oppone al moto (massa inerziale) e quella che subisce l'accelerazione gravitazionale (massa gravitazionale) sono identiche. Trecentocinquant'anni dopo si capisce perché : la massa è curvatura dello spazio-tempo. Come dire: ricordiamoci che mangiando spaghetti stiamo masticando concentrato di spazio-tempo.

                6 : L'invenzione del piano inclinato (paragrafo II.1). Fu così che Galilei misurò l'accelerazione di gravità. Senza questa misura Newton non avrebbe potuto scoprire che la Luna cade come una qualsiasi pietra, obbedendo alla stessa legge di attrazione gravitazionale valida qui sulla terra e anche nei cieli.

                7 : Le orbite dei satelliti del sole (paragrafo III,3). Che dovesse essere la terra a girare a trottola e attorno al sole, lo aveva già capito Aristarco. Nel corso dei duemila anni trascorsi da Aristarco a Galilei, nessuno però aveva saputo rispondere alle obbiezioni sollevate da coloro che volevano la terra immobile al centro del mondo. La teoria di Copernico avrebbe fatto la stessa fine di quella di Aristarco se non fosse arrivato Galilei. Fu lui a sapere rispondere a tutte le obbiezioni usando l'umiltà intellettuale della verifica sperimentale. Il Padre della scienza pensò che le orbite dei pianeti dovessero essere dei cerchi perfetti in quanto il cerchio era la figura geometrica ideale. E le antiche misure astronomiche sembravano confermare questa ipotesi. Fu un astronomo danese (non professionista, dilettante) Tycho Brahe, a eseguire le prime misure di alta precisione. Misure che indussero Keplero a concludere che le orbite dovevano essere ellittiche. Le ellissi sono cerchi schiacciati. Galilei pensava che il Creatore non avrebbe potuto non scegliere figure geometriche perfette e morì convinto che le orbite non potevano essere ellittiche ma perfettamente circolari. Come vedremo alla fine di questo paragrafo è con le orbite ellittiche che si chiude il caso Galilei.

                La scoperta della scienza è di appena quattro secoli fa. Ecco perché dicevamo prima di non sapere ancora in storia ma in cronaca . Come mai non ci fosse arrivato nessuno prima è al centro dell'attenzione di studiosi e specialisti 4) . C'èrano infatti tutti gli strumenti a portata di mano. Il linguaggio, la logica e gli oggetti volgari. Noi pensiamo che mancasse solo la Fede nel credere che quegli oggetti volgari dovessero essere depositari di una straordinaria dignità culturale: le impronte di Colui che ha fatto il mondo. Queste impronte erano e sono le leggi fondamentali della natura : scritte con il rigore del linguaggio matematico.

                Siamo dinanzi alla più grande scoperta di tutti i tempi, nello studio dell'immanente. Galilei osservava le cose del mondo con l'umiltà di chi le considera doni di un essere a noi superiore. Non con l'arroganza di chi ritiene l'intelletto umano il centro di tutto il sapere come avevano preteso fino ad allora gli esponenti della cultura dominante dei precedenti millenni. C'è chi sostiene che la scienza sia nata dalla curiosità. Questo non spiega però come mai nel corso di diecimila anni trascorsi dall'alba della civiltà a Galilei questa curiosità non abbia saputo far nascere la scienza. Tocca a noi scienziati credenti ricordare con chiarezza come stanno le cose con le origini della scienza. Per vedere se l'esercizio di questa attività implichi la pratica dell'ateismo. Essa non è nata nella cultura del caos né in quella dell'ateismo. Era necessario amare la natura per considerare le pietre oggetti degni di studio. La millenaria arroganza culturale aveva sempre disprezzato ciò che non era un puro prodotto di intelletto. Galilei dimostrò invece che solo l'umiltà intellettuale ci avrebbe permesso di leggere e di decifrare quella grande opera.  Umiltà che poteva solo nascere dalla convinzione che financo un minuscolo granellino di polvere dovesse essere opera di Dio . Allora non poteva che essere un atto di Fede. Oggi è una realtà scientifica .

                Galilei studiava le cose vicine e lontane. Fuori c'èrano gli astri. E lui scoprì le macchie solari, le montagne della luna, le fasi di Venere, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, come abbiamo già visto: smantellando il credo aristotelico, in base al quale il mondo degli astri doveva essere perfetto ed immutabile. Vicino a noi c'èrano le pietre e lui trovò le prime impronte che noi abbiamo descritto e che ci hanno fatto scoprire le Tre colonne e le Tre forze portandoci alla soglia del Supermondo.

                Ai pensatori pregalileiani non mancavano né pietre né spaghi né tavole di legno: gli strumenti con cui Galilei scoprì la scienza moderna. A essi non mancava nemmeno il rigore logico; tant'è vero che furono i Greci a scoprire con Epimenide la logica, con Zenone il rigore della logica matematica e con Euclide il rigore della logica geometrica. Coloro i quali sostengono che la scienza nasce dal rigore logico dovrebbero riflettere. Se fossero bastati solo la logica e il suo vigore, la Scienza l'avrebbero scoperta i Greci. Qualcosa doveva mancare se è vero come è vero che sono trascorsi più di duemila anni per arrivarci: dai Greci a Galilei. A tutti mancò l'umiltà intellettuale che solo l'amore verso la natura, quale depositaria delle impronte del Creatore, può dare. Di questo amore Galilei fu il grande sacerdote. Chi avrebbe mai detto che un granello di polvere sarebbe stato degno di studio! Eppure oggi sappiamo che in esso ci sono miliardi e miliardi di protoni, neutroni ed elettroni. E sappiamo anche che ciascuna di queste particelle è una incredibile miniera di cose nuove. Tutte sottoposte al rigore della logica di Colui che ha fatto il mondo. Logica che occupa nel piccolissimo esattamente come se tutto, anche il più sparuto angolo dell'Universo, dovesse rispondere a un preciso e inconfondibile disegno.

                Sapendo queste cose è difficile sostenere che la natura sia opera del caos (paragrafo VI.11). Diceva Galilei: le Sacre Scritture sono la Parola di Dio, la Natura è la sua Opera. E infatti abbiamo visto nel paragrafo II.9 che la scienza è sorgente di valori. La scienza non ammette bugie, violenze, razzismo, arroganza. Uno scienziato che manipolasse i risultati di un esperimento; che volesse usare la forza per imporre le sue teorie; che si rifiutasse di accettare una scoperta in quanto fatta da un individuo di razza diversa dalla sua; che respingesse il dialogo con i colleghi, pretendendo di sapere lui tutte le verità: uno scienziato del genere non avrebbe alcuna credibilità scientifica. Un uomo così non potrebbe essere uno scienziato.

                La scienza nata nel cuore della cultura cristiana non ha mai tradito nel suo enorme sviluppo, la Fede di colui che l'ha scoperta. Oggi infatti la scienza rappresenta il pilastro fondamentale per chi volesse dimostrare che la Natura è opera di Dio. Come aveva detto Galilei. L'interpretazione atea della scienza deve spiegare perché questa irripetibile conquista dell'intelletto umano ha avuto bisogno dell'atto di fede nel Creato. Questa spiegazione il pensiero ateo non potrà mai darla. Per il semplice fatto che l'ateismo non accetta che esista il trascendente. Il punto di vista ateo è terribilmente limitato e senza vie d'uscita. Se non esiste il Trascendente, non ha senso l'atto di fede. Se non ha senso l'atto di Fede, non può venir fuori la scoperta della scienza.

                Passiamo all'interpretazione trascendentale. La più grande scoperta dell'umano intelletto, nell'Immanente, nasce da un atto di Fede nella Logica del Creato. E si chiude con un Atto di Fede: Galilei morì come sappiamo, convinto che le orbite dei satelliti del Sole non potessero essere ellittiche.

 

NOTE

 

1 : Vedi L'Infinito, Marco Tropea editore, 2009 .

2 :  A. Zichichi in Subnuclar Physic - The First Fifty Years, a cura di O. Barnabei, P. Pupillo e F. Roversi Monaco, pubblicato dall'Università e dall'Accademia delle Scienze di Bologna, nell'ambito delle Celebrazioni Galvaniane, 1998 .

3 : Fu Galilei a scoprire che la Forza è proporzionale non alla velocità ma alla accelerazione.

4 : Il lettore interessato può consultare Le Secret de l'Occident di D. Cosandey, Arlea, Paris, 1997 .

 

 

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