LE ROGAZIONI NEL BASSO CASENTINO
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Protome umana cornuta dai tratti “gorgonici”, variamente interpretata come raffigurazione

della divinità italica Robigo o Acheloos. Particolare di urna funeraria di

fine I secolo a.c.. Museo Archeologico di Rosignano Marittimo (LI).

Emergenze storico-archeologiche di un settore del suburbio di Roma: la Tenuta

dell’Acqua Traversa- Atti della giornata di studio - Fabrizio Vistoli- Comune di Roma  2005

 

Sezione dei c.d. “Fasti Prenestini” relativa al mese di aprile, età Augustea. Museo Nazionale

romano, Palazzo Massimo, Roma. Emergenze storico-archeologiche di un

settore del suburbio di Roma: la Tenuta dell’Acqua Traversa- Atti della giornata di

studio- Fabrizio Vistoli- Comune di Roma  2005

 

 

                ROBIGALIA dies festus septimo kalendas Maias, quo Robigo deo suo, quem putabant robiginem avertere, sacrificabant. ROBIGALIA, festa che si svolgeva il settimo giorno prima delle calende di maggio, nella quale sacrificavano al loro dio Robigus che dicevano tenesse lontano la ruggine del grano. Sexti Pompei Festi De verborum significatu quae supersunt cum Paoli epitome p. 325 Lindsay. (A. Locchi, Lucus Robiginis in Acqua Traversa. Un antichissimo culto al V miglio della via Clodia, in Emergenze storico-archeologiche di un settore del suburbio di Roma: la Tenuta dell’Acqua Traversa, Atti della Giornata di Studio, a cura di F. Vistoli).

                Nel mondo cattolico si definiscono Rogazioni quelle preghiere pubbliche recitate durante le processioni che di norma si svolgono il 25 aprile, giorno di S. Marco, e nei tre giorni antecedenti l’Ascensione (1). Sono essenzialmente finalizzate alla benedizione dei campi, alla propiziazione dei raccolti ed alla protezione dalle sciagure e dalle calamità naturali.

                Tale rito, attualmente affidato alla competenza delle conferenze Episcopali che ne gestiscono con modi e tempi propri la celebrazione, anche se in questi ultimi decenni è quasi del tutto scomparso, ha rappresentato per secoli un esempio di religiosità vicina alle esigenze del mondo agropastorale al quale, sarebbero legate, anche le sue radici precristiane.

                Per risalire alle origini del culto, seguendo il filo del mito e quello della storia, ecco profilarsi in lontananza l’immagine dell’Urbe come sfondo degli antichi fatti. L’istituzione delle Rogazioni, nella forma delle Litanie Maggiori, risale a papa Liberio (35 2-366 ) (2) forse allo scopo di cristianizzare la festa pagana dei Robigalia, istituita da Numa Pompilio (secondo re di Roma) che aveva come divinità titolare il dio Robigus, secondo alcune fonti, o, la dea Robigo, secondo altre (3).

                Questa entità nefasta e malvagia (come Febris, Pavor e Pallor) incarna la personificazione della ruggine del grano, famigerata malattia delle Graminacee di origine fungina in grado di compromettere interi raccolti. I Robigalia infatti cadevano “il settimo giorno prima delle calende di maggio, in significativa connessione con il tramonto del cane celeste (= la stella Sirio), periodo di intensa calura, ai cui funesti effetti veniva, anticamente, ricollegata la comparsa della ruggine”(4). In un passo del quarto libro dei Fasti, Ovidio descrive i Robigalia, ricordando una processione guidata dal flamine Quirinale e diretta al quinto miglio della via Clodia dove si trova il lucus sacro a Robigo e dove, dopo aver rivolto alla temibile divinità una preghiera, chiedendo essenzialmente di risparmiare il grano dalla ruggine, avviene il sacrificio che consiste nel bruciare le viscere di una pecora e di una cagna su di un’ara cosparsa di incenso e di vino (5). Il rito cristiano nasce a Roma e si sovrappone nello stesso giorno, il 25 aprile, e nello stesso scenario a quello pagano consolidandosi a livello di istituzione tradizionale “già al tempo di Gregorio Magno (al quale sono legate le più antiche menzioni del rituale quale quella del settembre del 591, all’interno dei suoi Registri: II 2)” e solo dall’ottavo secolo viene a coincidere con la festa dell’evangelista Marco (6.)

                Alla “Litania maior”, celebrata recitando antifone, orazioni stazionali e in special modo litanie cioè suppliche contro calamità, si sostituiscono nel corso degli anni le Litanie minori istituite da San Mamerto nel V secolo, vescovo di Vienne nelle Gallie, pare per cristianizzare gli Ambarvalia altra importante cerimonia di purificazione dei campi che i romani erano soliti celebrare poco prima del raccolto per scongiurare malattie e ottenere messi copiose (7). La connessione con i culti delle acque si innesta proprio in una fase di questa celebrazione, la lustratio, rito di purificazione effettuato tramite lavaggio o aspersione con acqua che in questa occasione è finalizzato alla benedizione dei campi (8). Durante gli Ambarvalia, celebrati in onore di Marte, si svolge inoltre un corteo che si snoda intorno (amb) alle terre coltivabili (arva) della città portando in processione, per tre volte, animali sacrificali. Lungo il percorso si implora l’intervento della divinità titolare e di altri numi tra i quali Lari e Semoni, allo scopo di proteggere la zona circoscritta da tutti i pericoli provenienti dall’esterno e far ben prosperare le colture impiantate (9).

                Successivamente, nel IX secolo, si introduce nelle Rogazioni il canto delle Litanie dei Santi, e si abbandona la pratica del digiuno fino a quel momento rispettata. Attualmente, con l’approvazione del nuovo ordinamento dell’anno liturgico decretata da Paolo VI nel 1969, la regolazione delle suddette cerimonie viene demandata alle Conferenze Episcopali affinché possano essere adattate alle situazioni locali e alle necessità dei fedeli. L’autorità competente è libera di accoglierne le celebrazioni, di stabilirne la durata in uno o più giorni e se, eventualmente, ripeterle durante l’anno (10). Da ciò derivano le numerose varietà e consuetudini locali che caratterizzano questi riti.

                Le Rogazioni, in quanto cerimonie religiose connaturate al mondo agricolo, come gran parte degli usi e costumi che ruotano intorno al microcosmo rurale, hanno perso negli ultimi decenni l’importanza che le ha contraddistinte fino alla fine degli anni ’60.

 

Chiesa di Santa Maria- Subbiano Storia di Subbiano- Pier Antonio Soderi- Palmini e C. Arezzo 1980

 

 

                 Significativo a riguardo è il riferimento alle realtà locali. A Subbiano le ultime Rogazioni processionali risalgono al 1964 celebrate dall’allora Arciprete Don Angelo Benedetti che per l’ultima volta espleta il rito nella forma tradizionale guidando il corteo dei fedeli da Santa Maria della Visitazione fino ai confini della parrocchia dove impartisce la benedizione alle campagne. Dall’anno seguente la cerimonia si svolge in Chiesa recitando le Litanie dei Santi ed uscendo nel piazzale antistante per la benedizione ai raccolti (11.)

                Il rito prolunga la sua valenza originaria ancora per pochi anni in alcune frazioni del comune di Subbiano, un esempio è quello di Poggio d’Acona di cui un’ autorevole fonte orale ci riferisce lo svolgimento della liturgia. Sono le Rogazioni dei tre giorni e per ogni giorno vengono contemplate tre fermate.

                La processione ha inizio dalla Chiesa è guidata dagli uomini del paese a cui seguono nell’ordine il Sacerdote con la Croce e infine le donne. Parte con l’invocazione a Maria e prosegue, tra una fermata e l’altra, recitando le litanie dei Santi e invocando il Santo Patrono della Parrocchia. Raggiunti i luoghi designati, contrassegnati da croci, che si trovano nei punti più elevati in modo da coprire con la vista tutti i poderi dei fedeli, avviene la benedizione alzando la Croce e aspergendo l’acqua benedetta. Prima di rivolgere la benedizione ai campi, il Sacerdote pronuncia la seguente formula: A fulgore, et tempestate, A flagello terraemotus, A peste, fame, et bello A morte perpetua, Ut fructus Terrae dare, et conservare digneris .

                Tra i Santi invocati con particolare fervore, San Vincenzo Ferreri e Sant’Antonio Abate l’uno nella veste di protettore delle campagne e l’altro come patrono degli animali domestici.

San Vincenzo Ferreri,  Pieve San Giovanni

                Analoga situazione è quella registrata a Capolona, dove si riscontra una diminuzione delle Rogazioni dalla fine degli anni ’50, fino scomparire quasi del tutto, nella struttura processionale, dagli anni ‘70 in poi, quando il reddito principale deriva non più dalle attività agricole ma dalle numerose aziende che fioriscono nel fondovalle (12.) Le ultime, recitate intorno agli arva, risalgono al 1966 /67 guidate da Don Dario Dragoni, al tempo parroco del paese.

                L’attuale sacerdote Don Giuliano Francioli, anche sulla base di testimonianze orali, ha ricostruito l’iter della celebrazione liturgica, fornendocene una dettagliata descrizione:

                A primavera avanzata, quando la stagione cominciava a mettersi al bello e la natura era in pieno risveglio, arrivava il tempo delle Rogazioni. Ve n’erano due: una detta di San Marco che si svolgeva il 25 aprile, e una seconda, che durava tre giorni, e si svolgeva il lunedì, martedì e mercoledì che precedevano la festa dell’Ascensione.

                In quei giorni ci si alzava di buon mattino, si partiva in processione dalla chiesa e si faceva un lungo giro per strade, sentieri e campi. Un percorso che ogni giorno cambiava, ma che si ripeteva identico ogni anno.

                In testa il prete con i chierichetti e a fianco i rappresentanti delle varie Confraternite con le loro casacche colorate e spesso con i loro stendardi. Dietro, gli uomini, le donne, i bambini.

                Il prete intonava le litanie dei Santi e tutti rispondevano a tono con partecipata devozione “Te rogamus audi nos” (ti preghiamo ascoltaci).

                Il percorso era studiato in modo che tutto il territorio della parrocchia potesse, sia pure a distanza, essere visto. E questo in ogni città, paese o piccola frazione. Quando si arrivava in punti prestabiliti, sempre fissi negli anni, (generalmente edicole o maestà) la processione si fermava.

                Allora il prete alzava la croce e rivolgendosi ai quattro venti (quattro punti cardinali), pregava: “A fulgore et tempestate” (ossia dalle folgori e dalla tempesta) e tutti gli altri inginocchiati a terra rispondevano “ Libera nos Domine” (ossia Liberaci Signore), mentre lo sguardo di ognuno andava verso il proprio campo dove s’era seminato grano o melica. Poi, altre implorazioni (rogazioni): “A peste, fame et bello” (ossia dalle malattie, dalla fame e dalla guerra) e la gente sempre a rispondere “Libera nos Domine”.

                E così, ad ogni fermata, si andava avanti per alcuni minuti in questo fraseggiare latino che tutti però capivano benissimo. Si riprendeva poi il cammino fino alla cappella, o “Maestà” o alla croce successiva. E guai se il Parroco si dimenticava di sostare in uno dei luoghi tradizionali. Subito chi era interessato a quei terreni che da lì si potevano vedere, lo avrebbe ripreso. C’era anche una sosta per la colazione.

                Per evitare dimenticanze, i contadini provvedevano a collocare nei punti fissi delle semplici croci in legno che in quei giorni ornavano con fiori, ramoscelli di ulivo benedetto. Terminato il percorso, si rientrava, ma la processione perdeva un poco della sua concentrazione e tutti, osservando con attenzione i campi, si lasciavano andare a commenti sui lavori, sull’anticipo o sul ritardo della stagione, sulle previsioni dell’annata.

                Al termine della Rogazione di San Marco, le donne erano solite seminare fagioli e zucchini, mentre dopo le Rogazioni dell’Ascensione si usava andare a zappare.”

1

2

 

 

NOTE

* :  Acqua et Sacra (Il simbolismo delle acque nel territorio del Basso Casentino) Serie : I Quaderni dell’ecomuseo del Casentino, Testi : Monica Baccianella, Coordinamento : Agnese del Gamba, Patrocinanti : Regione Toscana (Didattica museale e ducazione al patrimonio) ; Comunita Montana Casentino (Progetto ecomuseo), Comune Capolona, La ricerca e la presente pubblicazione sono state realizzate nell’ambito del “Bando Regionale per la didattica musealee l’educazione al patrimonio 2006/07” con il cofinanziamento della Regione Toscana e del Comune di Capolona

 

1) O. Pianigiani 1990 p. 1164
2) A. Locchi 2005 p. 162
3) A. Locchi 2005 p. 152
4) A. Locchi 2005 pp. 153, 154
5) A. Locchi 2005 p 154
6) A. Locchi 2005 p. 162
7) A. Cattabiani 2003 p. 222
8) U. Panozzo, C. Garavini 1974 p. 345
9) A. Cattabiani 2003 p. 222
10) A. Cattabiani 2003 p. 333
11) Testimonianza resa da Don Guido Tiezzi
(novembre 2007)
12) Testimonianza resa da Don Giuliano Francioli
(gennaio 2008)
 

ALLEGATI

 

ALLEGATO 1


Carmen Fratrum Arvalium ovvero Carmen Arvale cantato durante la festa degli Ambarvalia : E nos, Lases iuvate! (ter) Neve lue, rue, Marmar, sins incurrere in pleores ! (ter) Satur fu, fere Mars, limen sali, sta ber ber (ter) Semunis alternei advocapit conctos (ter) E nos, Marmor, iuvato ! (ter) Triumpe triumpe! (ter) (Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 2104)
 

Traduzione:
 

Oh! A noi! Lari, aiutateci! (tre volte) No, pestilenza e rovina, o Marmar, (tre volte) non permettere che trascorrano tra il popolo! (tre volte) Sii sazio, o feroce Mars; (tre volte) balza sulla soglia, fermati là, là [secondo un’altra interpretazione, Berber sarebbe un appellativo di Marte]! (tre volte) I Semòni, sei alla volta [il senso alternei è, invero, di incerta spiegazione], li chiamerà tutti a parlamento. (tre volte) Oh! A noi! Marmor [di incerta spiegazione, forse
ulteriore appellativo di Marte], aiutaci! (tre volte) Trionfo, trionfo [ossia: “battere il piede tre volte”]! (tre volte)
 

Il testo, antichissimo (forse del VI secolo a.C.), è stato scoperto nel 1778, su una lapide, che riporta il verbale dell’intera cerimonia eseguita nell’anno 218 d.C. e che si trova oggi nei Musei Vaticani. Testo, traduzione e nota estratti da
www.progettovidio.it (marzo 2008) .

ALLEGATO 2

 

ALLEGATO 3

LITANIE DEI SANTI RECITATE DURANTE LE ROGAZIONI

 

 

FINE

 

 

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