DEL RAPPORTO TRA LA PATRIA E I GRANDI ITALIANI

 

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                L'antica Roma, aveva il senso degli antenati, della tradizione, che nutrivano entrambi l'amor di Patria. Poi col medioevo il concetto di patria, passa attraverso la lealtà verso il feudo, la coorte, il comune, fino all'eccezione dell'Impero. Col rinascimento, la patria è limitata alla signoria o al principato, alle varie monarchie che possono esser sinonimo di dispotismo più o meno illuminato. Con la nascita degli Stati nazionali, l'idea di patria subisce una ulteriore delimitazione o provincializzazione : al massimo interessa i confini dei singoli Stati, ma non va oltre la Francia, la Spagna, il Regno Unito, l'Italia...ecc. Manca in conclusione l'idea di una patria sovranazionale, che in passato ebbe il nome frequente di Impero, e oggi ha,  il nome di Unione Europea, o di Nazioni Unite...  . 

                L'idea di Patria sovranazionale, rappresenta pertanto un progresso rispetto alla Patria nazionale. Ma questo progresso è troppo debole, cioè non abbastanza consolidato, perché non è sufficientemente nutrito dal culto degli antenati, dalla bontà della tradizione, dall'insegnamento del buon pensiero e del buon cuore dei grandi.

                Per ogni popolo e per ogni sovranazione, per ogni idea di patria universale, bisogna imparare a conoscere chi sono i grandi uomini, i maestri, quelli in grado di dire cose necessarie per il bene dell'uomo e del mondo.

               Esiste pertanto un criterio per stabilire chi è veramente grande? Infatti, anche i grandi son divisibili tra buoni e cattivi, più perfetti e meno; pertanto come distinguerli?

                La risposta è del seguente tenore:

                Sono buoni, cioè in grado di insegnare veramente qualcosa di sostanziale, coloro che credono e cercano Dio sinceramente, e pertanto non negano l'evidenza e la realtà per ragioni seconde o ambigue.

                Infatti, l'esistenza di Dio è talmente evidente, che non è possibile negarla sulla base della ragione e del buon senso, sol che si consideri noi stessi (che non ci siamo fatti da soli e che non siam fatti a caso) e le cose che ci circondano (fatte di leggi e ordine sostanziale, nonostante la presenza del disordine). 

                Il fatto che nel nostro tempo, vi sia certa moda o cultura che nega Dio, è una patologia contingente dell'epoca; ma non rappresenta una costante universale della ragione: passate le nubi, Dio risorgerà più nitido e potente di prima. 

                Ne consegue pertanto che è necessario prendere le distanze dai negatori di Dio, perché essi, rappresentano un freno al progresso universale, confondono la naturalezza delle idee e della fede, e pertanto bisogna non sprecare tempo ad ascoltar troppo costoro, cioè chi si è volutamente o involontariamente adagiato nell'errore che potremmo dire, precognitivo o negante a priori o no, l'esistenza di DIO : costoro non possono esser maestri di nessuno e di niente, se non dei loro formidabili errori.

                Allo stesso modo, non possono esser maestri buoni, coloro che pur non negando Dio, tuttavia ne negano la perfezione della legge, cioè del Decalogo e del Cristo medesimo, come norma ed esempio principale da imitare. Infatti il Cristo se ben compreso, è negabile o non condivisibile, solo da quelli che non lo vogliono comprendere; per il resto è ben vero, che l'insegnamento e la proposta dell'amore evangelico, è universale, cioè cattolica, e dunque in potenza, valida per tutti i popoli, nessuno escluso.

                Infine, non possono esser maestri buoni, coloro che pur non negando Dio e la sua legge, tuttavia li negano entrambi con una dissoluta condotta di vita: con la loro ipocrisia, questi disgraziati negano Dio nella maniera forse più pericolosa per la loro salvezza, cioè non con le sole parole, ma con l'esempio vivo della vita dissoluta.

 

FINE

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