QUESTO POPOLO MI HA RICONDOTTO AL BANCHETTO DOMENICALE DELLA MESSA

(Da: Giovanni Papini, Il cancello aperto, in: La seconda nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 84-86) 

 

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                 Tornando a casa mia -meglio non essere andato a scavizzolare tanto lontano- ripeto che la mia solitudine è popolata e anche rumorosa senza che io abbia a soffrirne.

                Mi sono accorto troppo tardi che la benevolenza e la carità sono i più autentici salvacondotti tra gli uomini; il salvatore si salva.

                Il solitario da tutti diverso il timido titano romantico che per adorare e compiangere si rinchiude nel suo orgoglio come la topacieca sotto terra, non arrivano neanche a capir se medesimi.

                Bisogna vivere in famiglia, coi fratelli e colle sorelle. Il cielo ti dà un Padre e la sposa i figlioli, ma i fratelli e le sorelle li devi acquistare da te, con spiccioli d'amore. Stare insieme agli altri è il primo principio della salvezza e quando il catechismo ci ordina di sopportare le persone moleste, ci dà senza averne l'aria, il segreto della felicità, perché le persone moleste, a praticarle, finiscono col non essere più moleste.

                Quando la domenica sera tre o quattro contadini -anziani ed anche giovani- vengono da me a far la partita, e si mette la tavola sotto la loggia d'estate o accanto al fuoco d'inverno, e sopra la tavola il fiasco di vino e il mazzo delle carte e i sigari per chi li vuole e i fiammiferi per accendere i sigari, io non mi sento, in coscienza, il signore alla mano che si degna di conversare con gli inferiori. Prima di tutto mi fanno piacere, perché l'amicizia fa sempre piacere, anche l'amicizia di un fungaiolo o di un affossatore.

                Ma non li sento e non li vedo affatto inferiori a me -tutt'altro. Prima di tutto hanno un'anima al par di me, un' anima uscita dal soffio di Dio e per la quale Cristo soffrì come per tutte le altre e se l'anima loro è meno mobiliata della mia di pensieri, di verbi e di fantasie, ha in più la pace e la semplicità. 

                Poi riconosco che sono più di me come forza e salute nel corpo; che son più utili di me al mio paese (io do lòibri e loro pane); e che sono a me superiori nella pratica della vita, nell'accortezza e a volte anche nell'arguzia. Da loro ho imparato certe potenti espressioni che in città sono rimaste soltanto nei libri; e studiando i loro sentimenti primordiali, -la passione della terra, del possesso, della superiorità e le guerre per i confini dei campi e le invasioni dei greggi- sono arrivato a capire i misteri della storia universale meglio che in Vico e Macchiavelli. Come dinanzi alle mie figliole, dinanzi a loro mi sento in debito. 

                E sono stati loro, senza aprir bocca, che mi hanno ricondotto al banchetto domenicale, alla Messa

 

 

FINE

 

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