LA LEZIONE DI GIACOMO LEOPARDI.

(Da: M. Luisin , La lezione di Giacomo Leopardi , in : La Voce dell' Orfano , Anno XLIX , n. 9 del Novembre 1998; p. 6)

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Giacomo Leopardi (Recanati 1798-Napoli 1837), tra due immagini di Recanati .

 Introduzione.

                L' opera e la vicenda umana del Leopardi , è in ambito cattolico e cristiano , interpretata come una ennesima lezione da tener bene presente : il brano che segue è dentro tale tradizione ermeneutica , che probabilmente fa capo a Vincenzo Gioberti (1801-1852). Infatti nel suo «Primato....», allorchè il torinese viene a parlare di Giacomo Leopardi , esordisce con queste parole : «A che valga il sapere anche più eminente, senza la religione ,  l' Italia ha testè potuto vederlo in uno dei più rari spiriti, che l' abbiano illustrata da lungo tempo»; e questo «raro   spirito» , è Giacomo Leopardi, dal Gioberti amato sinceramente e conosciuto di persona 1) .

                Ma in cosa consiste la lezione del Leopardi agli occhi di un cattolico ? Ce lo ribadisce molto bene , il brano sottostante , quando dice : «La disperazione del nostro poeta è la solitudine dell' uomo moderno che ha registrato "la morte di Dio" » . Infatti , né un ingegno poetico , né chiunque , può fare a meno di Dio, senza conseguenze negative . Pertanto la vicenda  leopardiana rientra nel dramma del contesto dell' umanesimo ateo europeo ottocentesco e dei primi del XX° secolo , pur avendo accentuazioni tutte sue , come ad es. la nota  tristezza venata di disperazione .

                Però dentro tale appartenenza , vi è la seguente specificità , che si diversifica , almeno in parte , dal contesto dell' umanesimo ateo : il Leopardi , al contrario di molti altri atei contemporanei , amò la bellezza della natura e del Creato , ma non volle riconoscervi segno alcuno del Creatore ; pertanto la lezione che ci lascia è che : «Non basta fermare lo sguardo amoroso sulle creature, se esse non sono scala al Creatore».

 

TESTO

                E' il 1819 , l' anno cruciale di Giacomo, allorché , affetto di una malattia della vista, prende coscienza della sua infelicità. Egli annota nello Zibaldone , di aver proprio allora , cominciato a sentire la infelicità in un modo assai tenebroso .

                Scrivendo a Piero Giordani, sempre in quell' anno, usciva in espressioni come queste: La mia vita è spaventevole. Sono così stordito dal niente che mi circonda, che non so come abbia la forza di prendere la penna per rispondere alla tua...  .

                Che cosa sia quel niente , non è ben chiaro . La pochezza di  Recanati, il «natio borgo selvaggio» ? O è un' allusione al nulla metafisico, al nonsenso di una vita incamminata alla morte senza scampo ?

                                 Senza dubbio , questa seconda interpretazione è quella giusta. Il Leopardi lo da ad intendere così: Io ero spaventato di trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocato, considerando e sentendo che tutto è nulla («Zibaldone» , anno 1819) .

                Attenzione: il nulla della vita umana e della vanità del mondo ricorre in tutte le civiltà umane, ed è grido frequente dei salmi, del libro di Giobbe , di certi passi della sapienza . Tuttavia , mai come in simili casi, le parole hanno lo stesso suono e significati diversi, assai diversi.

                La vanità leopardiana , ha sotto di se il vuoto assoluto, essendo priva di ogni riferimento a un qualcuno o a un qualcosa che sorregga               l' universo e gli esseri in esso.

                La disperazione del nostro poeta è la solitudine dell' uomo moderno che ha registrato la morte di Dio , ma lo ha fatto lacerandosi il proprio essere e lasciandosi dentro una nostalgia divorante.

                Il Leopardi commuove proprio per questo vivo contrasto tra ciò che la sua mente afferma (Dio non è ) e quel che il cuore gli grida, mentre cerca una presenza serenante. Al poeta , una volta voltate le spalle al Creatore, resta comunque uno spazio di ricerca: la natura con le sue bellezze .

                Nessun poeta italiano ha spiegato il canto alla bellezza dello universo, come lui. E tuttavia la sua solitudine non è colmata. Non basta fermare lo sguardo amoroso sulle creature, se esse non sono scala al Creatore.

 

FINE

 

1: Si legga il ricordo e la stima , che del Leopardi ne ebbe il Gioberti , nel suo Primato ( al punto 6 : Esortazione ai sapienti..., e annessa Nota 4 ) , pur  evidenziandone l' errore di esser caduto vittima del nichilismo francofono dell' epoca, che per ironia della sorte , pretese e pretende pure dirsi  illuminista o comsimili .

 

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