LETTERA ALLA NAZIONALE DI CALCIO

10-7-06

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                Bravi, perché avete vinto il Mondiale!

                E' giusto e persino utile che siate lodati e che si festeggi in allegria, la vostra vittoria.

                Ancora più bravi, perché avete giocato al meglio, senza tradire la lealtà verso il publico, verso lo sport, e persino verso l'avversario.

                Avete intrattenuto non solo il publico italiano, ma del mondo intero che voleva vedere il bel gioco: anche laggiù nelle zone di guerra, nei tuguri della morte e del sangue, persino negli antri dei ladri e dei banditi, persino in quelli degli assassini, dei soldati, ..., per un attimo tutti hanno pensato alla bellezza della gara, alla geometria della rete, alla destrezza della inventiva che calcola mosse e schemi e al meglio li mette in pratica a beneficio locale e specialmente massmediatico, cioè mondiale.

                Avete parlato e agito da eroi verso lo Sport, perché nonostante si sussurri di qualche frode dei vostri dirigenti vari in patria, voi, i piedi, le braccia, le menti ultime e prime del pallone d'Italia pervenuto in Germania, non vi siete fatti scandalizzare, ma avete puntato i piedi per alzare la bandiera del bel gioco, del risultato conseguito, sia contro l'avversario che contro la sfortuna, sia contro la malaopinione che il pettegolezzo, il mediocrismo professionale e improvvisato, sempre pronto a blaterare, intralciare, zoppare, sabotare, distruggere...per il solo gusto d'inquinare, perché l'area impura è l'unica cosa di cui veramente, quel medesimo mediocrismo, si nutre davvero, e altri gusti o piatti da offrire, invero non ha .

                Siete stati leali contro l'avversario: non l'avete offeso, ma sollevato da ogni vostro disprezzo; se ne parlavate in sua assenza, vi ho sentito farlo senza esagerarne i difetti e negarne le virtù. In campo, come da veri campioni, avete combattuto per vincere: avete vinto! Ma tranne qualche caso ingenuo, nessuno è stato da voi ferito o malmenato; mentre tutti ricordano e ricorderanno la fatica di combattervi ma anche la bellezza complessiva del gioco, nonostante la pena della sconfitta ad opera vostra. D'altronde se qualche avversario   non è stato leale con voi fino in fondo, non vi siete fatti coinvolgere nella provocazione dell'errore, ma con sapienza avete schivato e atteso la decisione dell'arbitro. Anche quando il publico vi era ostile, e vi trovavate tra tanti tedeschi fischianti con pochi italiani, anche allora avete tenuto duro e i fischi ostili non v'hanno scosso, e la vittoria finalmente, v'ha premiato e sorriso.

                Ora è bene che tornati a casa, siate lodati e festeggiati.

                Tuttavia, in questo festeggiare e lodare, in questa macchina che si è avviata automaticamente, c'è qualcosa di eccessivo, qualcosa di insano che non dovrebbe esserci. Bisogna chiederci pertanto di che cosa si tratta, e che bisognerebbe fare per correggere gli eccessi.

                Si tratta a mio avviso del pericolo dell'idolatria, e come tale lo si deve combattere recuperando maggior fede in Dio, senza nulla togliere ai meriti dell'uomo.

                Voi, nonostante i vostri meriti, ve lo ricordo, avete fatto soltanto questo: avete vinto una, due, tre, quattro, cinque partite di calcio; avete vinto, in definitiva, un Mondiale: ma nulla più e nulla meno.

                La vostra impresa pur bella e apprezzabile come sopradetto, è tuttavia limitata al terreno del gioco, della partita. Osannarvi come divi, anzi talvolta come dei, non è da uomini ma da imbecilli. Attribuirvi meriti che non avete sull'onda generale che altro non vede che la vostra vittoria e tanto facilmente ora vi osanna quanto prima (prima della conclusione) vi criticava a sproposito, è prestarsi all'idolatria.

                E' infatti necessario soffermarsi sul fatto che l'uomo moderno, privo notevolmente del lume tradizionale della fede, è creatura fragile, e facilmente cavalcabile dal divismo idolatrico:

                ma voi non prestatevi a coltivare questo errore. Dite al mondo che siete campioni, e allo stesso tempo che non siete dei. E in che modo dovreste dirglielo, onde il mondo intero capisca qualcosa dalle vostre parole?

                Nel seguente modo: rivendicando francamente il vostro diritto ad esser trattati da uomini anziché idoli, e facendo appelli per devolvere parte delle sostanze del calcio, verso obbiettivi sociali in Italia e all'estero, onde sollevare situazioni di miseria e abbandono, malattia e segregazione, povertà e disperazione.

                Come avete dimostrato in campo d'esser uomini in grado di vincere l'errore e la sconfitta secondo le regole del calcio, ora dimostratelo dai pulpiti e coi fatti, che siete uomini in grado di ricordarvi delle necessità del prossimo, secondo le regole di Dio. Se lo farete, cioè se evitate il divismo eccessivo  respingendo l'invito pressante a farvi idoli sterili per furor di popolo, insomma se rimanete uomini nonostante l'occasione della vostra vittoria che vi vuole trasformare in divi, cioè in oracoli da idolatria, diventerete dei non solo per applauso popolare, ma specialmente per consenso divino,  che vede nel prossimo da voi eventualmente aiutato, e in voi che spontaneamente l'aiutate, una sua immagine.

 

FINE

 

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