LA ZAPPA

(Da: Giovanni Papini, La Zappa, in : Giorni di festa, Firenze, vallecchi, 1920 -2° ed.-, pp.75-77)

10-8-06

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Testo

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INTRODUZIONE

                Tra i vari scrittori del mondo, quanti si sono soffermati a scrivere due parole su una zappa? Pochissimi : a parte qualche menzione sporadica dei poeti, nessuno ha voluto mai perdere tempo a descrivere la maledizione della fatica, la macchina attira-fulmini che può esser considerata la zappa, in quanto in essa si può veder riassunta tutta la millenaria retorica e sostanza di sfruttamento del padronato sul povero contadino, dell'uomo sull'uomo sia prima che dopo la critica marxista in proposito.

                Ma il Papini, nella circostanza, decide di fare eccezione: non giunge a scrivere una estesa epopea della zappa, perché anche la sua concezione dell'arte è sostanzialmente aristocratica, nel senso che un'altro tipo di arte, come la popolare, nessuna cultura, e specie quella italiana e europea, l'ha mai conosciuta o presa sul serio fuori dal folklore e a riguardo della letteratura .

                Tuttavia, il Papini a Bulciano di Pieve S. Stefamo (AR), in quel contesto di robusta e aspra campagna, non può fare a meno d'apostrofare i cittadini analfabeti della campagna e dell'agricoltura che tra l'altro, non conoscono la zappa; non può fare a meno in quel contesto, di soffermarsi a parlare un poco della zappa, per additarne la multisecolare utilità, il quotidiano e eroico e chino consenso dell'uomo comune che adopera uno strumento principale e manuale del lavoro e del reddito, non tanto per servire il padrone (anche per quello), quanto per sopravvivere:

                la zappa , dice Papini, precede lo stesso aratro, e mette l'uomo a tu per tu, con l'esigenza e la fatica del dover fare, per sottomettere tutto il creato alla volontà umana, la quale, aggiungiamo noi, vuole promuoversi a unica amministratrice benefica, dello stesso Creato, sia per sfamare e beneficare l'uomo stesso, sia per ordinare la vita di tutte le specie di piante e animali.

 

TESTO

 

                Voi non sapete quanto sia bella la Zappa. Non potete sapere voi cittadini di città, quanto può esser bella una zappa.

                Una semplice zappa di campagna, una vera zappa nelle due mani del contadino, una reale zappa appoggiata ai sassi del muro, accanto all'uscio del contadino.

                Un pezzo di legno infilato in un pezzo di ferro. Un povero pezzo di legno, una semplice stanga di legno duro, di legno forte, di legno onesto. Un pezzo di legno appena squadrato, conciato, spianato, affinato dal filo dell'accetta. Non pulito, non verniciato non lustrato: le due mani dello zappatore, le due mani ingrossate, rugate, indurite, incallite gli daranno giorno per giorno la lucentezza dell'antico, la luce del lavoro che vince il sudicio del sudore e della carne.

                Un pezzo di ferro, un povero pezzo di ferro che il fuoco e l'acqua hanno piegato e ridotto nell'antro domestico del fabbro di mezzosecolo. Un duro pezzo di ferro che fu molle come la pasta del pane, come il formaggio appena messo nella caciaia. Un piccolo pezzo di metallo nero che il fabbro fece rosso nel fuoco e che il contadino fa splendere al sole come l'argento.

                Ma voi non potete sapere, non potete vedere, cittadini di città, quanto sia bella una zappa. Una grande zappa d'argento nelle due mani nere del contadino, che frange i sassi nascosti, mozza le radiche vecchie, rompe la terra asseccata, impallidita, stremata dalle mietiture e la fa tornare, come per miracolo, nera.

                La zappa non ha bisogno dei bovi aggiogati, come l'aratro; non ha bisogno del piede, come la vanga. La zappa non chiede che due mani forti, due mani nodose, due mani potenti, risolute, consacrate, due mani del colore stesso della terra, mani dove le vene sporgono come radici che serpono a fior di terra.

                La zappa, questo arnese proprio dell'uomo, venuto dalla terra, costruito con un pezzo d'albero, con un pezzo di ferro, coll'aiuto del fuoco e dell'acqua, la zappa dei padri antichi, e dei padri dei padri e che le madri e le figlie maneggiano quando i padri mancano -perché i padri devono anche viaggiare per il mondo e vincere le guerre- la zappa, strumento del grande lavoro necessario, del lavoro eterno, del lavoro di dominazione dell'uomo sulla terra, del lavoro che tutti i giorni risuona nei campi eterni della terra.

                Insieme allo scettro del re, al Bastone del Pastore, alla Spada del Soldato, alla Penna del Poeta, essa è degna d'esser venerata in ginocchio, d'esser lodata dalla nostra voce.

                Ma voi non saprete mai, non potrete mai sapere, cittadini di città, animali delle mura, quanto sia bella una zappa, una grande zappa d'argento sotto l'oro del sole .

 

FINE

 

 

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