FABRIZIO METOZZI, NELLA MEMORIA DI UN COMPAGNO DI GIOCHI E DI SCUOLA.

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Arezzo domenica 1° Ottobre dell’anno giubilare 2000.

 

Fig.1: Fabrizio tra i nonni Maria e Gino, davanti la casa bianca della Greppa, all’età   di circa 10 anni.  Sullo sfondo, parte della scogliera, teatro  di giochi e scorribande.

Fig.  3 : Maurizio,  figlio di Fabrizio, che canta alla televisione  all’età di  circa 8-11 anni.  

Fig.  2 : Sul fianco sinistro del Torrente Singerna (affluente del Tevere), si snoda la loc. detta Tifi, o Villa di Tifi o  Badia di Villa Tifi, di fronte a Caprese Michelangelo (AR) . 

                             Dal tempo antico scrittori e poeti , cantarono e celebrarono le bellezze della campagna , o della vita sana e semplice, che in essa , quotidianamente si dipana. Ma forse pochi di quei dotti, ebbero in se la limpida convinzione che la vita in campagna è ottima , non solo per villeggiare o fare gite turistiche, bensì, persino per educare al meglio i fanciulli 1) .

                  Ebbene, io che sono stato cresciuto e formato nel cuore e nella mente famciulla, mediante la natura valtiberina , intendo qui ricordare in breve , alcune di quelle giornate autenticamente campagnole. E lo farò attraverso Fabrizio Metozzi, compagno di scuola e di giochi, amico d’infanzia, purtroppo perduto dopo la V° elementare , perché emigrato con tutta la famiglia, dalla Valtiberina al Valdarno, per l' esattezza dalla Villa di Tifi in Caprese a Sieci di Pontassieve,  presso Firenze.

                  Fabrizio era buono d’animo e un  po'  ruvido di carattere, fedele al senso più vivo e sincero dell’amicizia ( secondo la migliore tradizione dei Metozzi ), persino nei giochi più banali, mostrava una spiccatissima vocazione al lavoro  d’impresa edile, e alla guida delle macchine, specialmente camion e ruspe. 

                  A scuola, sebbene  bravo in aritmetica e se ben ricordo, persino in storia e geografia , non credo  tuttavia , che abbia mai pensato più di tanto a continuare gli studi, perché il suo studio e piacere e persino eroismo infantile migliore, erano la regia del lavoro d’impresa.

                                    Quest’aspirazione a fare l’impresario coll'accezione frequente da ruspista e camionista, era in Fabrizio,  talmente viva, che lo spingeva ad escogitare talvolta soluzioni originali e clamorose per le bocche del paese, come fare la “Ruspa” con un grosso sasso a forma di triangolo isoscele, o fare l’autotreno con la carretta dalla ruota di ferro  e dal legno rosso (un oggetto notevole, per il mondo dei grandi), che usava ufficialmente il nonno Gino, per i vari lavori agricoli.

                  Io, Uliano, Morise, talvolta Gabriele, se non sapevamo che fare, nei pomeriggi campagnoli, si diceva allora, “Andiamo da Fabrizio”! Giungevamo dunque presti , presso “la Greppa”, alla bella casa nuova, lungo la strada  sterrata e comunale e all’ombra della (per noi) bellissima scogliera. 

                   E dov’era Fabrizio? Ma naturalmente nel suo cantiere che ci aspettava, onde prima possibile, si dividessero  tra tutti noi i compiti d’impresa: lui dava gli ordini e manovrava la ruspa per fare le fondamenta dell’ipotetico palazzo da costruire;  io, dopo avere formalmente chiesto la carretta che fungeva d’autotreno, partivo per andare a prendere la sabbia, onde costruire le malte che Uliano e Morise preparavano in un altro settore,   pure loro con una ruspa a triangolo isoscele, imitando dunque Fabrizio, che non solo era un poco più grande, perciò più “capace di lavorare”, ma mostrava maggiore interesse e accesa fantasia , nell’organizzare il lavoro.

                  Poi veniva finalmente l’ora della “T.V. dei Ragazzi”, e tra una risata , il cavallo e la spada di Zorro , il sergente “Ingrassia” …., passavamo un’ora , finché poco prima di cena all’imbrunire, non c’èra niente di meglio e più gradito, che una scorrazzata in bicicletta sulla strada comunale che fiancheggiava la casa bianca Metozzi.

                   Ed eravamo tutti allegri e contenti, sotto lo sguardo benevolo di mamma Milena e dell’imponente nonna Maria, nonché  della  figura indimenticabile di nonno Gino, che col cappello, il tascapane, il fucile in spalla, compariva spesso in fondo alla strada a quell’ora di sera, tornando dagli orti della Villa e dal Fosso dagli alberi o dal campo detto Tuppo, col suo passo sobrio da onesto e sicuro lavoratore.

                   E mentre la sera sempre più s’inoltrava, ecco ancor più distinto il rombo di una moto Morini di media cilindrata, da tutti conosciuta (sopra o sotto a est e a ovest del villaggio), finché qualcuno esclamava : “Ecco Lidio”! …

                   E finalmente , immancabile una voce di mamma che sembrava una sirena , gridava allora a gran voce: “Orlando o..o..o..” ! Senza rispondere più di tanto, partivo dunque, salutando Fabrizio che entrava nell’intimità della sua casa tra i nonni e i genitori.

                   Ci saremmo rivisti all’ indomani in classe. Intanto la “buonanotte”, aveva per musica  la canzone serotina degli uccelli, che andava scemando dal buio dei boschi e delle fratte. 

 FINE  

1 : Ciò lo notava nel 1400 , persino Leon Battista Alberti  : Crf : Pensieri e Documenti sull' Agricoltura .

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