SOSPENDERE ACQUA E CIBO A ELUANA, SIGNIFICA UCCIDERLA

 

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                Carissimo anonimo, tu chiami me "fanatico" perché cerco di evitare che si commetta un  omicidio ? Se così ti firmi, la mia risposta è che non ho tempo da perdere con chi non vuol capire.

                Ad ogni modo vista la confusione della vita moderna, non posso escludere che tu sia in certa buona fede. Perciò è mio dovere spiegarmi .

                I termini della questione forse li conosci meglio di me . Comunque sono i seguenti: Eluana non è una malata terminale ma in stato vegetativo persistente.

                Fatto gravissimo. Però "persistente" anche da 16 anni, non significa irreversibile: la scienza in questi casi non è in grado di escludere la possibile guarigione o il ritorno alla parziale o piena coscienza.

                In un caso simile sospendere acqua e cibo, significa provocare la morte.

                Tu avresti piacere che ti uccidessero se fossi al posto di Eluana ? Non possiamo sapere come ci si sente in quelle condizioni. Certamente non ci si sente bene. Ma questo non sapere, è un altro motivo che se mai consiglia di non abbandonare e assistere fino all'ultimo, anziché staccare la spina.

                Quanto alla comprensione per il dolore del padre, sono daccordo. Come potrei non esserlo ? Ma chi assiste la figlia, il padre o le monache? Le monache, senza mormorare, senza protestare, chiedono per Eluana un decorso umano e che non sia abbandonata alla morte per fame e sete . Al contrario il padre di Eluana vorrebbe staccare la spina, quando non è lui ad assisterla . Ma il peggio di questa posizione, forse non è considerato. Tu pensi che se si accontentasse papà Englaro facendo morire Eluana, poi lo stesso Papà sarebbe soddisfatto di tale scelta ? Il dubbio di avere ucciso la figlia lo perseguiterebbe probabilmente, per tutta la vita .

                Perciò ogni comprensione, ma anche fermezza nel fare il possibile fino alla fine.

                Forse tu dici : "hai avuto esperienze simili" ?

                La risposta è si, anche se per 2 anni anziché 16 : ho dovuto assistere il mio babbo completamente infermo, in assoluta solitudine: parenti e amici dissolti o inattivi , lavoro abbandonato, carriera bloccata . Non avevo io le monache che mi aiutavano,... anche se devo dire ciò che è vero : Dio mi ha aiutato e perciò sia ringraziato .

                Ti faccio questa confidenza per riferire quanto segue: per fortuna che ho preso la decisione di non abbandonare il mio babbo; da questa esperienza ricavo che la via giusta nel caso degli infermi è non abbandonare ma fare il possibile fino alla fine. Infatti quando il malato manca, specie nei familiari e in chi lo ha accudito, lascia un grande vuoto, cioè resta un dolore più che fisiologico (non facile da descrivere) comunque dovuto alla perdita di un amico o parente o familiare; ma se si è agito correttamente, resta anche al contempo la pace di aver fatto il possibile; si sente la firma di Dio sul proprio operato. Trapela qualcosa del destino futuro.

                Ma è evidente che in caso contrario, se la coscienza non è a posto, invece della pace ci sarà il rimorso di non avere operato al meglio. E il rimorso è il rimprovero di Dio per non aver fatto bene. Questo rimorso io non auguro a nessuno. Tantomeno al signor Englaro e a te, o anonimo .

                Migliori,

 

Orlando Metozzi

 

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Da Anonimo in risposta a Giu la forca da Eluana : Solo una parola per definire il tuo ottuso e fanatico modo di vedere (e si' che il fanatismo religioso ne ha fatti di omicidi e genocidi sia letteralmente che simbolicamente e cioe' dall'inquisizione alle guerre sante alla pedofilia cosi' diffusa tra i ministri della chiesa) e che si permette di giudicare così senza minimamente cercare di comprendere il dolore di un padre: V E R G O G N A .

FINE

 

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